(A. Austini) Non firma. Adesso non ha alcuna intenzione di farlo. E più passa il tempo, più diventa probabile che non prenderà mai quella penna in mano. Luciano Spalletti sta seriamente pensando di lasciare la Roma al termine della stagione, rispettando fino all’ultimo l’attuale contratto in scadenza a giugno, senza accettare il rinnovo che Pallotta gli ha proposto ormai diversi mesi fa. Perché? I soldi non c’entrano, ne ha guadagnati talmente tanti in Russia da non doversi preoccupare dell’aspetto economico. Il mercato idem, o almeno, i mancati acquisti di gennaio, resi impossibili da un bilancio «sofferente», non rappresentano la vera causa alla base dei forti dubbi dell’allenatore. C’è molto di più sotto, a cominciare dal carattere a dir poco particolare del tecnico di Certaldo. Spalletti è tornato a Trigoria con la voglia di completare il percorso interrotto nel 2009: vuole vincere, ma legando la sua permanenza alla conquista di un trofeo (come ripete da mesi) sa bene di scommettere sull’addio. E allora il suo «mantra» mediatico è anche un modo per prender tempo e valutare tutte le possibili soluzioni. Compresa la chiamata di un’altra squadra.
L’Inter, ad esempio, ha deciso di affidarsi a Pioli ma al tempo stesso lo tiene sotto esame: se dovesse fallire l’ingresso in Champions, non è escluso che i cinesi cambino di nuovo guida tecnica. In quel caso, Spalletti sarà tra i primissimi candidati. Poi c’è la Juve, che non è detto intenda continuare con Allegri o viceversa. A Torino si parla già di Paulo Sousa, ma non è escluso che un pensierino a Spalletti possa farlo pure Agnelli. E Luciano, con grande onestà e senza false promesse, ha già dato pubblicamente la sua disponibilità: «Io alla Juve? Se continuo ad allenare, vado da tutte le parti». Al momento è fantacalcio. Non sono le offerte altrui ad allontanare il toscano dalla Roma, semmai sofferenze e delusioni. Per esempio, Luciano non ha ancora smaltito le scorie del caso-Totti, gestito con grande fatica nella passata stagione. Il clamore mediatico suscitato dallo scontro con il capitano, le critiche e certi titoli sono ancora lì a tormentarlo. Poi c’è un rapporto con Pallotta iniziato all’insegna dell’entusiasmo e via via sempre più freddo: i due, a quanto pare, non si sentono con grande frequenza. La decisione non è stata ancora presa, ma a Trigoria e a Boston l’ottimismo sul rinnovo sta scemando. L’idea di dover cercare il sesto allenatore in altrettanti anni di gestione americana non è certo esaltante. Pallotta pensa (o pensava?) di aver trovato finalmente la guida giusta, gli 88 punti conquistati in 41 partite di campionato sono lì a confermarlo, ma adesso è costretto ad aspettare. Fino a quando? Eppure la Roma non sembra così preoccupata.
Da un lato perché nessuno dimentica come lo stesso Spalletti, l’estate scorsa, ripeteva nei corridoi di Trigoria: «Me ne vado subito». Quindi la speranza che Luciano possa cambiare idea c’è. Dall’altra parte, i dirigenti si sentono tutelati dall’indiscutibile valore tecnico della rosa. L’eventuale nuovo allenatore partirebbe comunque da una base ottima e le opzioni non mancherebbero. Se immaginare un clamoroso scambio di panchine Allegri-Spalletti è forse troppo – ma la stima della Roma per il livornese è rimasta intatta nonostante il suo gran rifiuto del 2013 –il probabile arrivo dello spagnolo Monchi come nuovo direttore sportivo potrebbe essere il preludio allo sbarco di Emery nella Capitale: i due hanno lavorato, e vinto, insieme a Siviglia e l’esperienza del tecnico a Parigi sembra già vicina al capolinea. Restando in Italia, Giampaolo e Di Francesco potrebbero essere maturi per il salto in una «grande». Per ora non sono altro che idee, la priorità assoluta rimane Spalletti. Chissà se i tifosi potranno avere un ruolo nella scelta finale: Luciano sta dando una mano per far tornare la Curva Sud piena, vederla vuota gli pesa molto, ma il problema ora sembra invia di risoluzione. Se il calcio fosse romantico, il lieto fine sarebbe già scritto.