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Corriere della Sera Lo stadio e la commedia delle carte La Soprintendenza: tutelate le rane

(S. Rizzo) Non bastavano le tribune dell’architetto Julio Lafuente. A cospirare contro lo stadio di James Pallotta e Luca Parnasi adesso ci si sono messe pure le rane. Eh già, perché per Margherita Eichberg, la soprintendente che ha in mano i destini di Tor di Valle, c’è anche una controindicazione «vegetazionale». Il busillis riguarda «le fasce boscate e i filari alberati con arbusteti e cespuglieti piantati secondo schemi geometrici privi di uno studio ecosistemico dinamico in un’area che si caratterizza invece per la prateria ripariale». Il fatto è che «le nuove piantagioni» previste dal progetto «possono avere un’incidenza negativa in un’area sede di nidificazione e riproduzione di specie di uccelli, rettili e anfibi…». Non poteva mancare neppure questo nelle venti pagine del parere con il quale, il 15 febbraio, la Soprintendenza ha posto una pesantissima ipoteca su quello stadio in quel posto. Basta leggere la conclusione: «Si esprime motivato dissenso alla realizzazione dell’intervento non ravvisando condizioni per la sua ammissibilità nel sito proposto». Se è vero che Pallotta e Parnasi lo stadio non vogliono farlo da nessun’altra parte che non sia Tor di Valle, significa che lo stadio non si farà.

Lo studio di fattibilità
Tutto comincia alla fine del 2013. Al Comune di Roma c’è Ignazio Marino, a Palazzo Chigi Enrico Letta. E nella legge di stabilità compare una norma per agevolare la realizzazione degli stadi privati. Sembra fatta apposta per l’operazione Tor di Valle, che non a caso è appena partita. Qualche mese prima il costruttore Parnasi ha comprato per 42 milioni l’ippodromo da una società che sta portando i libri in tribunale. L’ippica non tira più e l’area già disastrata, compresa la «prateria ripariale» tanto cara agli anfibi, sta degradando sempre più. Così, quando all’inizio del 2014 arriva alla Soprintendenza lo studio di fattibilità dello stadio, nessuno immagina che alla fine vinceranno le rane. I problemi non mancano di certo. Tutti sanno che la Roma e Parnasi hanno un bel po’ di debiti con Unicredit, che non a caso sostiene un’operazione con cui si potrebbero sistemare molte cose. Sanno pure che la cosa ha molti nemici fra ambientalisti e concorrenti di Parnasi. Ma pensano che la copertura politica sia sufficiente, i grillini sono ancora lontani e i vincoli paesaggistici sembrano davvero l’ultimo dei problemi.

I primi problemi
Eppure qualche segnale arriva. Tanto per cominciare la Soprintendenza chiede una procedura di «archeologia preventiva». Bisogna fare delle indagini, perché «l’intervento interessa un territorio di alto interesse archeologico». Però non si fa nulla. La Soprintendenza lamenta che il progetto definitivo comparso in Conferenza dei servizi a settembre del 2016, «non contiene alcuno studio archeologico». Così due mesi dopo chiede «formalmente» (piuttosto irritata, dati i toni del parere) che si proceda senza indugi. Lo chiede a tutti. Alla Regione, al Comune e al costruttore. Ma, sorpresa, cadono tutti dalle nuvole. Regione e Comune dicono che non c’entrano nulla, e solo il 18 gennaio salta fuori che tocca al costruttore. Il quale però, sostiene il parere, non «detiene attualmente la proprietà di tutte le particelle interessate dall’intervento». Una faccenda solo apparentemente banale, ma che la dice lunga sulla superficialità con cui il più grande progetto immobiliare del Paese che prevede anche il coinvolgimento di investitori americani, sia stato gestito. Fermo restando un mistero: nessuno ha ancora capito perché siano stati necessari a un’amministrazione pubblica due anni per decidere che lì lo stadio non si doveva fare.

Valutazioni preliminari
È il 2 novembre 2016 quando la Direzione generale architettura contemporanea e periferie urbane del ministero formula «le proprie valutazioni preliminari (preliminari!) riguardanti la prevista demolizione delle Tribune di Tor di Valle, esempio di eccellenza architettonica e ingegneristica», sottolineando che «la valutazione del proponente sull’ippodromo ne enfatizza lo stato di abbandono e degrado». Come a dire: hanno presentato apposta una situazione peggiore del reale. Anche se, chiosa il parere, «lo stato di abbandono non costituisce motivo per distruggere una testimonianza materiale, piuttosto una sollecitazione al suo recupero». Senza però spiegare cosa sia stato fatto, in tutto questo tempo, per evitare che la situazione di una così preziosa testimonianza architettonica precipitasse. Andate a vedere.

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