(D. Stoppini) Un soprannome che Edin Dzeko non ha mai digerito: super-sub. Lo chiamavano così a Manchester, perché era il dodicesimo uomo di Roberto Mancini al City: entrava dalla panchina e segnava «Non mi piaceva essere chiamato così, perché io in realtà soffrivo a stare fuori, preferivo essere il titolare». Però ci sono i momenti. Le situazioni. E le settimane. Da Palermo al Sassuolo, otto giorni, due panchine, due gol entrando in campo e spaccando match che – prima del suo ingresso – vivevano sul filo sull’equilibrio. Gioco, partita, incontro: serve Dzeko, ace del bosniaco e tutti a casa.
21 gol in campionato, 31 stagionali, Super-sub o no poco cambia. Però, com’è diverso il suo impatto sulla Roma. Tanto per dire: ha giocato solo un terzo di partita, eppure ha fatto in tempo a risultare il giocatore che ha tirato di più in porta dei suoi. Aspettando l’inserimento della Roma nella volata per la lotta scudetto – Spalletti dixit –, Dzeko una volata a suon di gol l’ha già lanciata, meno uno da Belotti, per un titolo individuale che non è dipinto di giallo e rosso dal 2007, l’anno della Scarpa d’oro di Francesco Totti.