(F. Bocca) Luciano Spalletti è un buon allenatore, forse addirittura ottimo, non certo perfetto, quasi sempre eccessivo. Antropologicamente e sociologicamente molto interessante, un ircocervo calcistico con la testa di Benigni e l’anima di Grillo (e qualche volta viceversa). Spesso insopportabile, l’ha detto lui stesso: «Peggiorato, mi vedo peggiorato ». Dovrebbe volare più basso ma ha un ego talmente smisurato che si solleva da terra anche stando fermo. Non parla, recita. Non spiega, pontifica. Dopo una sconfitta non si difende, accusa. Con lui siamo tutti costretti a vedere il mondo alla rovescia, nel momento in cui dovrebbe dare delle spiegazioni è lui che le chiede a te. Ma come, scusi, guardi che l’eliminazione dall’Europa League — non una finale di Champions, ma il non rientrare della Roma tra le migliori otto della seconda coppa europea — veramente dovrebbe spiegarla lei. O almeno lo spieghi a Pallotta — «Lo vedrò, certo» — che pure lui certe domande se le fa.
Ma niente da fare: e i messaggini e Totti, e i fantasmi e i giornalisti… Secondo un labiale TV avrebbe addirittura dato dei «finocchi» ai giocatori del Lione. E lui dice: «Pinocchi». Che storia è questa? No, perché se è vero è grave. Spalletti è tutto rovesciato. Dovrebbe volare più basso visto che ha vinto molto meno di altri, svicolare, dribblare, farsi trasparente e invece occupa internet, tv, radio e giornali come se fosse Ancelotti, Guardiola e Mourinho insieme. Spalletti consuma Roma e la Roma così come dieci Boeing consumano ossigeno e riempiono il mondo di anidride carbonica. Spalletti è una bomba antiecologica, ha un “impatto” sulla città e sul calcio non sopportabile. Una squadra come la Roma, che domani è attesa all’Olimpico dal Sassuolo, può anche essere messa fuori dal Lione, non è un dramma, non è un’umiliazione. Però mezzo fallimento sì, soprattutto se ci mettiamo anche la batosta del Porto. Meno giusto cavalcare ogni occasione per una guerra contro i mulini a vento che nessuno capisce, che intorbida il suo poco chiaro rapporto con la Roma.
Resta, parte, va alla Juve, al Barcellona, in Cina? Tanto litigava pure con i russi… Non si capisce se Spalletti sia l’allenatore del futuro o solo del presente. E se questo presente — già abbastanza intricato tra eliminazione europea, derby di Coppa Italia e secondo posto da difendere —, con tutto questo polverone, sia sotto il suo completo controllo. O se piuttosto non si sia mandato polvere negli occhi lui stesso e dunque adesso avanzi a tentoni. Facendo l’allenatore della Roma, nessuno può pretendere l’unanimità totale. Per quanto lui creda, e vada a caccia 14 mesi dopo di quello che mandò un sms a Pallotta — “Non lo prenda, è pericoloso” — Spalletti è unanimemente accettato, condiviso, apprezzato, osannato e pure ben pagato. Ha dovuto affrontare giusto un po’ di resistenza quando ha fatto la guerra a Totti, ma doveva aspettarselo, non si va in Vaticano a pestare i piedi al Papa. Ieri Staffelli lo ha “attapirato” e il tapiro solleticherà il suo ego. Adesso cercate un riparo: oggi Spalletti riparla.