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La strategia degli ultras romanisti: “Disordini dentro e fuori lo stadio”

(A. Ossino) –  Gli striscioni appesi in curva. Le macchine piene di armi. Le minacce ai calciatori. E le proteste contro la squadra e la società a cui avevano giurato amore eterno. Eventi accaduti in tempi diversi, ma tutti volti a intimidire la squadra giallorossa. E tutti, secondo i magistrati di piazzale Clodio, commessi dagli stessi 4 indagati: tutti ultras della Roma. Secondo gli inquirenti «dalle evidenze assunte a gravi indizi di colpevolezza – si legge negli atti – emerge chiaramente come gli episodi descritti siano legati da un evidente nesso di continuità e si sviluppino in una progressiva escalation di violenza». Una violenza pericolosa. Proprio come gli indagati, almeno secondo l’accusa. La procura di Roma, infatti, ritiene «concreto e attuale il pericolo che gli stessi organizzino e attuino ulteriori condotte violente volte a creare disordine dentro e fuori dallo stadio Olimpico, o comunque a intimidirei calciatori della A.S. Roma». Insomma, come già narrato da Il Tempo, la procura è convinta che gli episodi avvenuti «a partire dal rinvenimento del materiale sequestrato in occasione del derby Roma-Lazio, passando per le contestazioni avvenute l’8 e il 16 marzo 2015 presso i campi sportivi dell’A.S. Roma a Trigoria e giungendo, da ultimo, agli episodi delittuosi del 19 marzo 2015 in occasione della partita Roma-Fiorentina», dimostrino «l’esistenza di una vera e propria strategia criminosa avente a oggetto la commissione di atti di violenza e intimidazione ogni qual volta la squadra giallorossa non risponda ai desiderata della tifoseria ultras». Comportamenti violenti, quelli contestati dall’accusa, che sarebbero stati «orchestrati e organizzati» a tavolino da alcuni tifosi di cui «gli odierni indagati sono indiscussi leader». Capi capaci di farsi avanti quando desiderano far sentire la propria voce. Come quando si sarebbero eretti a rappresentanti dei tifosi giallorossi arrampicandosi tra le barriere che separano il campo dalla curva.

L’obiettivo, concretamente realizzato, era quel lo di poter parlare con i giocatori mostrando loro tutta la frustrazione subita dai sostenitori della Roma in un periodo non troppo felice per la squadra. La «strategia» sarebbe andata in scena dentro e fuori lo stadio. «Arruolando» anche una quinta persona, la cui posizione è stata stralciata, e facendola partecipare a una riunione preparatoria per il derby Roma-Lazio. «Detta partecipazione – continuano le carte a disposizione degli inquirenti – si spiega solo nell’ottica dell’arruolamento (del quinto accusato ndr) quale mero vettore per il trasporto e l’ occultamento dell’armamento sopra descritto e sequestrato». Si trattava di una macchina con all’interno 18 «artifici pirotecnici», 6 bottiglie incendiarie, 1 coltello a serramanico, 1 casco nero, 20 mazze di legno da 50 centimetri l’una, 3 manici in legno e 2 in plastica. Insomma tutti oggetti che difficilmente si sposano con lo sport, il tifo e il sostegno che molti ultras esternano in maniera passionale, viscerale ma sempre legale e mai violenta. La procura dunque ritiene che vi sia una pericolosa strategia. Non la pensa così invece l’avvocato che difende gli indagati Lorenzo Contucci. Il penalista infatti ritiene che si tratti di episodi slegati tra loro e difficilmente riconducibili ai suoi assistiti che, sempre secondo la difesa, non possono pagare le conseguenze dei comportamenti illegali di altri tifosi che, almeno durante l’incontro con la Fiorentina, avrebbero lanciato oggetti ai danni dei giocatori, insultandoli e sputandogli addosso. Per questo motivo il legale ha chiesto che i 4 vengano processati attraverso il rito abbreviato. L’obiettivo è quello di chiudere in fretta una vicenda che la difesa ritiene essere meno grave rispetto ai reati contestati. Logica vuole che, nel caso in cui invece la procura riesca a dimostrare tutte le accuse sostenute fino a oggi, e il gip accolga pienamente le richieste dei pubblici ministeri, gli indagati, in virtù del rito scelto, potrebbero godere della riduzione di un terzo dell’ eventuale condanna che potrebbe essere emessa.

Fonte: il tempo

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