(M. Ferretti) La paperona (indolore, ma reale) di Szczesny e l’assist alla Totti di Grenier (sì, proprio Grenier…) per El Shaarawy ti fanno capire in fretta che a Palermo non è, e non sarà, una partita dai contorni chiari, definiti. Due episodi, quelli, non in scaletta in un contesto singolare, se non addirittura inedito controllando la formazione della Roma. Una Roma mai vista, e non certo per la bontà della sua manovra: sei volti nuovi rispetto a Lione, turn over a raffica, promozione forzata per chi, tipo Grenier o Mario Rui, il campo lo aveva visto praticamente solo dalla panchina.
Scelte doverose, in vista della finale di giovedì all’Olimpico contro i francesi, ma anche rischiose per via dell’assoluta mancanza di amalgama (si diceva così, no?) tra i giocatori di Luciano Spalletti. Intervallo con la Roma in vantaggio, al di là di tutto, grazie al gol dell’unico italiano in maglia bianca. Insomma, Roma avanti come era accaduto a Lione, ricordate? Via libera, dunque, a scaramanzie e gesti apotropaici di ogni tipo. E, poi, anche una riflessione: con sei uomini freschi rispetto all’Europa League, il rischio che la squadra si squagli nella ripresa dovrebbe essere meno pressante. O no? Una curiosità, abbinata ad un filo di preoccupazione. Conosco i miei polli, diceva quello… Rocchi fischia l’avvio della ripresa e Grenier (sì, ancora lui…) replica l’assist alla Totti per il Faraone che – però – si addormenta sul più bello.
IL CANTO DEL CIGNO In campo, adesso, c’è un vecchio amico della Roma, Diamanti, quello che, prima di andare a farsi ricco in Cina, definì Totti una bandiera a tassametro, guadagnando così anche mezzora di popolarità. E se ne accorge subito Szczesny. Roma in affanno, non una novità. Specie sulla sua corsia di destra, con il festival degli errori (orrori…) in fase di non possesso. Dentro Dzeko, fuori Grenier a corto di fiato e ammonito. Edin non fa in tempo a mandare un buon pallone in tribuna che entra pure Strootman. Al posto del Faraone, però. Partita dai contorni non chiari, s’era detto: e la conferma arriva, non tanto dal gol in chiusura di Peres, quanto dalla rete di Dzeko assolutamente non in stile Dzeko, con quel tocco chirurgico di sinistro, perfido e maligno, in diagonale. Trenta gol (e lode) stagionali (20 in A), per il pippone bosniaco che dopo uno stop and no gol di quattro partite ricomincia, a modo suo, a risolvere i problemi. E la Roma, non a caso, torna a vincere.