(A.Elefante)- Come volevasi dimostrare: quel gol di Lacazette – il 4-2 del Lione, nella gara di andata – è stato il buco nero su cui è finita inghiottita l’Europa League della Roma. Una settimana fa era stato un forte sospetto, il rimorso è diventato certezza in una notte stavolta senza rimpianti. Non c’è stata rimonta, ma l’Olimpico alla fine ha applaudito la prima sentenza della stagione, che la Roma ha fatto molto, se non tutto, per cambiare. Lopes migliore dei suoi (bravo tre volte, straordinario una quarta), l’immagine nitida di un Lione ridimensionato almeno per un’ora, il record stagionale di 25 tiri (9 nello specchio), il forte dubbio per una trattenuta di Diakhaby su Salah: tutto vero, ma nulla potrà cancellare l’ombra della gestione della gara di andata. E il pensiero di una strada verso la finale di Europa League che sarebbe stata tutt’altro che lastricata di ostacoli.
FOTOCOPIA – L’incubo dei 90’ di Lione si era riaffacciato quando da un’immaginaria fotocopiatrice era uscito il disegno del gol dell’1-0 francese: punizione di Valbuena, stacco potente ma solitario Diakhaby, troppo libero di saltare scappando prima da Fazio e poi da Manolas. Un delitto sapendo che questa qualificazione si sarebbe giocata sul filo degli errori, e per quanto si era visto fino a quel momento. E si sarebbe rivisto almeno per un altro quarto d’ora, una volta trovato in meno di 2’ il pareggio grazie a una mezza spaccata di Strootman in mischia. Sempre in mischia il Lione aveva già rischiato dopo 6’, con una terrificante traversa di Rüdiger e seguente parata di Lopes su colpo di testa di Salah. L’1-1 immediato era stato la minima compensazione per il tanto sbattuto in faccia dalla Roma a un Lione che non aveva neanche avuto il tempo di decidere se stare basso per scelta. Era stata la Roma a costringerlo. Forzare la partita, come da input di Spalletti: con il grimaldello ora dell’ampiezza e ora della verticalità, agitato con sapienza su un asse collaudato. De Rossi, ovvero la poca pulizia necessaria davanti alla difesa. Strootman, ovvero le sportellate necessarie con Tousart e Gonalons. Nainggolan, l’uomo elastico per aiutare il centrocampo e poi affiancare Salah, nell’attesa anche molto accentrato alle spalle di Dzeko. E poi il bosniaco: sponde, tagli, movimenti a uscire e in profondità per aprire spazi. A costo di essere meno spietato del solito nel cercare la porta, e per la prima volta a digiuno per due partite di fila in casa.
FEROCE – E il Lione? La squadra fino a ieri più volte al tiro di tutta l’Europa League per mezzora si era dovuta acquattare, spinta indietro dal progetto della Roma: ritmo altissimo a costo di qualche spreco per fretta di cercare l’area o la conclusione; pressione feroce per togliere sul nascere ai francesi l’idea del palleggio basso; lanci lunghi su Mario Rui e Bruno Peres, oppure a scavalcare la difesa per trovare gli scatti di Salah; area riempita di palloni dal cielo per sfruttare il mismatch di centimetri e la tendenza dei centrali di Genesio a ballare un po’. Come al minuto 41, con Lopes costretto ad un doppio no su Strootman, colpevole sul primo tiro di aver visto la porta più stretta di quello che era. Il logico abbassamento di ritmo e intensità nell’ultimo quarto d’ora del primo tempo sarebbe stato anche un calcolo di gestione di energie. Per aggredire subito la ripresa, costringere Lopes al vero miracolo della serata su Nainggolan, restare con il dubbio per quel rigore non fischiato da Kassai.
LA CARTA ELSHA – E però non accusare il colpo, anzi vivere mezzora (più recupero) con addosso il fuoco della speranza, su cui ha iniziato a soffiare El Shaarawy, scelto da Spalletti al posto di un Bruno Peres al limite del dannoso per tartassare il fianco di Morel. Missione compiuta in 78 secondi – pallone velenoso in mezzo e respinta di Jallet addosso a Tousart per il 2-1 – e poi fino alla fine. Semmai «sporcata» 3’ dopo, con il tiro del possibilissimo 3-1 aperto troppo. L’ultima vera occasione gol pulita per la Roma: la trazione anteriore rinforzata con Perotti e poi Totti ha prodotto un assalto frenetico più che lucido, da cui il Lione è riuscito finalmente a uscire con più leggerezza, costringendo Alisson agli straordinari almeno tre volte, su Tolisso e su contropiede di Cornet e Fekir. Ma a quel punto il sogno assomigliava già di più a un’illusione.
Fonte: La Gazzetta dello Sport