(G. Lengua) – Non ne fa una questione di trofei (anche se in più di un’occasione ha detto che vincere è un imperativo), non ne fa una questione di cuore perché della Roma è innamorato e non ne fa una questione d’ambiente perché quello della Capitale «è il migliore dove si può lavorare». Il futuro di Luciano Spalletti dipenderà solo dalle promesse di Pallotta, che il 16 o il 17 marzo dovrebbe arrivare a Roma. Il tecnico pretende una squadra all’altezza che possa affrontare tre competizioni a testa alta, senza incorrere in figuracce come quella di ieri a Lione o quelle con Lazio e Napoli che hanno compromesso un’intera stagione di lavoro. Il mercato di gennaio è stato un flop, è arrivato solo Grenier che ha giocato appena tre minuti con la Fiorentina, Massara ha provato a vendere Gerson al Lille per fare cassa, ma il brasiliano ha fatto saltare l’affare e Lucio ha risposto facendolo giocare con la Primavera. Spalletti ci ha provato a non dare alibi alla squadra: durante il mercato invernale ha assicurato che i suoi calciatori sarebbero bastati per portare a termine la stagione, mentre alla vigilia del Lione ha spiegato: «Se dicessi che la rosa è stanca sarebbe come autorizzarli a perdere partite per due/tre mesi». A nulla è servito. La Roma dovrà fare due ‘remuntade’ contro Lione e Lazio per sperare ancora in un trofeo dato che il campionato è virtualmente chiuso.
PALLOTTA STANCO
Ma da cosa dipenderà il mercato estivo? Ovviamente dall’accesso alla Champions League. Definita da Lucio «lo scudetto della Roma», sarà determinante sia per non smembrare la rosa assecondando qualche richiesta di rinnovo (vedi Nainggolan, Manolas e Strootman), sia per integrarla con calciatori che consentano di far rifiatare i titolari. Pallotta, per adesso, osserva da lontano non solo le sorti della squadra in campo, ma anche quelle dello stadio; l’impazienza di far crescere il club è tanta, la pressione inizia a farsi sentire, specialmente dopo sei anni di gestione americana in cui non sono arrivati trofei.