(G. De Filippi) – L’inizio è juventino o almeno para-juventino, insomma da quelle parti, in zona famiglia Agnelli e aziende controllate. Perché il primo incarico per una cernita delle vane proposte di terreni da usare per la futura costruzione dello stadio della Roma viene dato alla società (dal nome che fa pensare a quelle catene di abbigliamento italianissime ma anglosassonizzate) Cushman & Wakefield. E’ una scelta saggia e grazie alla autorevolezza dell’azienda, leader nel settore dell’investimento e valutazione immobiliare, a una scelta difendibile perfino di fronte alla sempre sospettosa e complottista tifoseria giallorossa, che sicuramente venne informata dei fatti, all’epoca del loro svolgimento, e specificamente del fatto che la Cushman & Wakefield fosse dal 2007 della famiglia Agnelli (che poi la rivende net 2015 con un buon profitto). Nulla osto allora a una simile attribuzione di responsabilità a una società della nemica galassia juventina e l’incarico venne dato dalla stessa AS Roma il 15 marzo del 2012, con l’intesa di terminare la ricognizione entro giugno. I tecnici della società leader nelle consulenze immobiliari fanno loro lavoro, studiano ben 70 proposte di terreni, e scelgono poi l’area di Tor di Valle.
Come ha raccontato recentemente su Facebook Gaetano Papalia, appartenente alla famiglia proprietaria dell’area e fin dagli anni ’50 anche dell’ippodromo (e quindi già prima che sorgessero le tribune ora vincolate dalle sovrintendenza), Tor di Valle e i terreni dell’ansa del Tevere erano stati proposti alla famiglia Sensi prima di arrivare agli attuali proprietari. “L’idea dello stadio a Tor di Valle – racconta Papalia – risale al 2009, ne parlai a lungo con Rosella Sensi, ma nulla si fece a causa della scarsità di risorse finanziarie della AS Roma e per gli alti costi delle opere di urbanizzazione”. Ed effettivamente i Sensi (riprendendo l’intuizione dello storico presidente Dino Viola) si erano dichiarati pubblicamente per la costruzione di un nuovo stadio. Avevano fatto anche loro, sempre nel 2009, una bella conferenza stampa di presentazione, per mostrare l’imminente realizzazione dell’impianto, non a Tor di Valle ma nella zona della Monachina, al nono chilometro della via Aurelia. Anche allora si proponeva la costruzione, a cote, di un mega centro commerciale, di due cinema e di una media cittadina da 3500 appartamenti. Intanto i Sensi annaspavano tra difficoltà finanziarie, tifoseria ostile, banche non più amiche o almeno semplicemente interessate a dare una prospettiva di rientro alla loro esposizione calcistica giallorossa.
Così successivamente Papalia decide di vendere a Luca Parnasi, l’attuale proprietario, e titolare anche dell’approvazione del progetto come ultimamente modificato da parte della sindaca Virginia Raggi. Parnasi acquista dopo che si capito che Tor di Valle sarebbe stata la zona di probabile destinazione del progetto, anche perché ha, già allora, un punto di forza: lì c’era già un impianto sportivo, l’ippodromo, e dunque la costruzione di uno stadio non avrebbe richiesto modifiche di destinazione urbanistica. La presentazione ufficiale del progetto di Parnasi avviene negli Stati Uniti alla fine del 2012, con un annuncio da Miami, Florida, si danno tutti i particolari e si fissa al 2017 l’anno di completamento. Mentre si avviava l’interlocuzione prima, per uno scampolo di sindacatura, con Gianni Alemanno e poi con Ignazio Marino (la delibera di Marino arriva nel 2014), l’altra carta vincente, la nuova legge sugli stadi, era tra parlamento e palazzo Chigi. provvedimento, oggetto di un’attenzione (tradotta in minuziosi emendamenti) molto maggiore alla media da parte dei legislatori, arriva al traguardo diventando operativo dal primo gennaio del 2014 e nel modo forse più inatteso: sotto forma di alcuni articoli della legge di stabilità del governo di Enrico Letta. Contiene vane forme di incentivazione alla costruzione di impianti sportivi. Tra cui una dirimente dove stabilisce che l’approvazione di un progetto da parte del comune e di una conferenza dei servizi (in tempi definiti di 90 giorni) costituisce “atto sostitutivo di ogni autorizzazione o permesso comunque denominati, necessari alla realizzazione dell’opera e ne determina la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza”.
Marino prima fa il vago, come si dice a Roma, poi va a stringere sul progetto, imponendo (anche lui si vanterà di un forte potere di influenza, non registrato però agli atti) due ipotesi: il prolungamento della linea B della metro fino allo stadio o la trasformazione della linea Roma-Lido in metropolitana, con una indicazione molto precisa: almeno 16 treni l’ora, per garantire che almeno il 50 per cento dei tifosi raggiunga !’area con i mezzi pubblici. Entrambe le durissime imposizioni mariniane sono state ora rimosse grazie alle nuove durissime imposizioni di Raggi. Resta la cubatura aggiuntiva, inizialmente tenuta un po’ nascosta poi rivelata in modo roboante e ambizioso con le torri di Daniel Libeskind (a loro volta prontamente sacrificate senza spargimento di lacrime). Resta il sogno non dichiarato di fare come la Juventus, ma quell’unico punto di contatto, venduta Cushman & Wakefield, non vale più.
fonte: Il Foglio