(K. Karimi) – E pensare che un anno fa il gigante bosniaco si era fermato a otto centri, davvero una scarsa moria per un calciatore con le sue caratteristiche. Edin Dzeko è rinato nella Roma targata Spalletti 2.0, grazie ad una preparazione estiva coi controfiocchi e la fiducia di un ambiente stavolta più paziente e sereno nei confronti di quel bomber accolto da migliaia di supporter impazziti a Fiumicino nell’agosto del 2015.
Ieri a Bologna il numero 9 della Roma è salito a 24 centri in campionato (34 contando le coppe), a meno due dal record di Francesco Totti che fu capocannoniere esattamente dieci anni fa, non a caso sempre con mister Spalletti in panchina. Gol di rapina, di opportunità, da centravanti d’area che ha saputo sfruttare spesso le poche occasioni concesse per far male agli avversari. Eppure i numeri di Dzeko non bastano, ancora si pretende di più da lui, dalle sue qualità tecniche superiori alla media.
Sì perché Edin non è solo un rapace d’area, ma un calciatore di manovra, che già ai tempi del Wolfsburg, a dispetto della stazza, giocava da seconda punta lasciando il compito di finalizzare più spesso al compagno di reparto Grafite. Piedi educati, visione di gioco, fisicità prestata all’aiuto dei compagni: così lo vorrebbe sempre Luciano Spalletti, che ieri al Dall’Ara si è lamentato di un Dzeko troppo isolato e fuori dalle trame offensive, se non per buttarla dentro sull’assist al bacio di Perotti. La Roma lo vuole più operaio, combattivo, presente, anche se le energie sono meno favorevoli di qualche mese fa. E’ di certo impossibile discutere la qualità del bomber bosniaco, ma non è escluso che Spalletti e il suo staff gradiscano un numero 9 dalle movenze più sciolte e dalla corsa fluida. Un Aubameyang o un Cavani per intenderci. Ma la Roma di oggi può certamente essere soddisfatta, ogni discorso su eventuali stravolgimenti d’attacco andranno fatti in estate, e chissà se con Spalletti o un nuovo mister al comando.
GGR