(M. Ferretti) – Otto punti di ritardo dalla vetta juventina a sei giornate dalla fine. Il sogno tricolore evapora sotto il sole della vigilia di Pasqua e, adesso, l’obiettivo diventa conservare il secondo posto. Vietato non centrarlo; vietato farsi rimontare dal Napoli, salito a meno 2, per tutto quello che rappresenta in termini di soldi (e di futuro) la partecipazione alla prossima Champions League. A partire dalla trasferta di Pescara, se non altro, si tornerà a mettere (obbligatorio farlo, o no?) la Roma squadra, non il singolo o i singoli, al centro di tutto. Perché tra il contratto di Spalletti, quello di De Rossi, la scelta di Totti, l’arrivo di Monchi, l’elezione di Baldini a sindaco della Roma, la visita di Pallotta alla sindaca di Roma, il mal di pancia di Manolas, il prolungamento promesso a Nainggolan, i racconti di un passato più o meno arrogante di Sabatini e il già lungo elenco dei prossimi probabili, probabilissimi, praticamente certi acquisti – tanto per citare alcuni argomenti di popolare attualità – insomma tra tutto questo, della Roma, quella con la R maiuscola, nelle ultime settimane si è parlato (troppo) poco. E (troppo) poco ci si è preoccupati del suo essere, del suo vivere. Tutti, in un senso o nell’altro, sono, anzi siamo colpevoli ma con una evidente scala di responsabilità. Rimettere la Roma al centro del villaggio, ecco la mossa.
L’INCUBO NEL DNA Oggi che la Juventus è di nuovo lontana (ma, in realtà, è mai stata vicina?), si ricomincia a pensare alla classifica, alle sei partite che mancano prima del fischio finale del campionato e, ovviamente, lo si fa con il timore che tutto possa andare in malora. Passare in un attimo dal sogno scudetto all’incubo terzo posto, del resto, fa parte del dna della città. È arrivato il momento di cominciare a chiedere a Spalletti perché la squadra cammina, perché ha smarrito la via del gioco invece di insistere a domandargli del suo futuro. Lucio, del resto, deve dare una risposta ai dirigenti, non ai giornalisti e tramite loro ai tifosi. Sarebbe interessante, inoltre, farsi spiegare dai protagonisti perché si dimenticano di giocare per un tempo, come accaduto contro l’Atalanta. E non è stata la prima volta. Deconcentrazione? Limiti tecnici e/o psicologici? Pippaggine? No, attenzione: quella è una virtù riservata solo a Dzeko, 25 gol in campionato, 35 in stagione. Ma l’etichetta affibbiata al bosniaco ci fa capire, forse, che aria tira da queste parti. Ecco perché un secondo posto in campionato – anche se alle spalle della stellare Juventus – dopo tre dolorose eliminazioni dalle coppe meriterà soltanto un’attenta e impietosa analisi della stagione.
Fonte: il messaggero