(M. Pinci) – Sembra quasi un’opera di colonizzazione. Vincere il derby oggi vuol dire anche appropriarsi dello spazio dell’altro, della sua voce. Il ponte sul Colosseo era storicamente usato da ultrà della Roma per mandare i propri messaggi. Un pulpito di cui una settimana fa si sono impossessati i tifosi della Lazio, per celebrare il derby vinto: “Dal 1900 la nostra città”. E prima della scena dei manichini avevano pure invaso di scritte macabre la sede della società giallorossa.
Nonostante la tensione altissima, adesso la violenza è ai minimi storici: lo ha dimostrato nell’ultimo derby la convivenza pacifica in Tevere — antico teatro di scontri — delle due tifoserie. Che hanno saputo unirsi nelle tragedie per la morte dei tifosi Gabriele Sandri o Antonio De Falchi. I gruppi ultrà oggi hanno obiettivi simili: hanno diviso a lungo lo “sciopero” contro le barriere dell’Olimpico, anche se con modi diversi. E entrambe sono permeate da alcuni gruppi di estrema destra (ma non solo).
Se gli ultrà comunicano con gli striscioni, il tifoso medio s’affida alle radio, anima della città divisa. Più di mille ore di diretta alla settimana per parlare sempre e solo di Roma e Lazio, con mezzo milione di ascoltatori quotidiani, pronti a intervenire per dividersi, esprimere le proprie sentenze sui giocatori o mandare messaggi trasversali. Nove emittenti, tre per parte oltre le due radio ufficiali aperte dalle società e un’altra che mescola romanisti e laziali. Il risultato è un vociare continuo e un derby lungo 24 ore al giorno. E le deformazioni, in un contesto simile, tracimano nell’eccesso. È durissimo il presidente dell’Assocalciatori Damiano Tommasi: “Quando vinci un derby, come fa a essere il primo pensiero quello di appendere manichini con le maglie dei tuoi rivali? Sicuramente non è goliardia, ma un messaggio che racconta molto del calcio italiano, incarna un modo di interpretare il tifo. Anche se non so se chiamarli tifosi”.
Fonte: la repubblica