(U. Trani) Spalletti va dritto al traguardo e si dedica solo alla penultima tappa di Verona: l’unica questione che conta è il successo esterno contro il Chievo. La Roma, nell’anticipo delle 18 al Bentegodi, ha la chance di mettere pressione contemporaneamente alle sue rivali, scendendo in campo prima di loro. Dentro i migliori (recuperato il capocannoniere Dzeko) per avvertire chi sta dietro: il Napoli che affronterà in serata la Fiorentina al San Paolo; e anche chi sta davanti: la Juve che giocherà domani pomeriggio contro il Crotone allo Stadium. Se i giallorossi dovessero centrare la terza vittoria consecutiva (settima di fila in trasferta), la classifica, all’ora di cena, potrebbe ingolosire. Il 2° posto, con 4 punti di vantaggio, sarebbe blindato. E, situazione inedita, il distacco dalla capolista, per una notte, sarebbe ridotto a meno 1: mai accaduto in questa stagione, passata sempre a rincorrere i bianconeri (dopo la prima giornata, almeno 2 punti di distanza). Il presente, dunque, e non il futuro. Che, al massimo tra 10 giorni (dopo Roma-Genoa del 28 maggio), andrà però preso di petto.
FINESTRA APERTA Non adesso, insomma. A Spalletti non conviene avere fretta, dopo aver tergiversato oltre ogni limite. La proprietà Usa non lo ha mai scaricato. Anzi, se proprio vogliamo dirla tutta, lo ha protetto ed aspettato. Ora il toscano vuole godersi la volata, andare a dama e magari alla cassa. Nella sua chiacchierata, prima di salire sul treno per Verona, ha contato le parole e messo in fila i concetti. Per non andare a intaccare quella che sarà l’exit strategy di fine torneo. Frasi buone per tutte le soluzioni. Da quel «vogliamo giocare la Champions: è la competizione più bella che ci sia», tanto per far capire che piacerebbe anche a lui restare per guidare i giallorossi nell’Europa che conta, a quel «normale che si facciano i nomi per la panchina della Roma». Da confermato a sostituito, insomma. Ma, sui candidati a prendere il suo posto, sparge la dose giusta di furbizia: «Tutti hanno il blasone per essere il prossimo allenatore di questa squadra. Io devo essere più bravo di loro se volessi mantenere il posto, per andare al di là dell’ostacolo devo accettare la sfida». Quanto gli accade attorno non lo considera strano. Improvvisamente niente più lo infastidisce. Fa, invece, l’equilibrista. Ci sta che il club giallorosso abbia sondato altri tecnici, da Emery a Di Francesco, e che Paulo Sousa sia già venuto due volte all’Olimpico, l’ultima domenica, a studiare la Roma. Come Mancini a Bologna. Il copione, almeno come è stato scritto nelle ultime settimane, è approvato: «La società farà il suo lavoro. Anzi lo ha già cominciato, prendendo Monchi». Non ricade, però, nella trappola di chi lo vede già al fianco di Sabatini. «Ci interessa vincere contro il Chievo, non altro. Il futuro non è nei nostri pensieri. Dei futuri allenatori di Inter o Roma non ce ne frega niente». Pronto il paracadute. Si capisce pure da come stavolta tratta Totti. Quasi scusandosi: «A volte l’ho penalizzato, ma sempre per il bene della squadra».
RITO SCARAMANTICO «Il campionato lo vince la Juve: è stata la più forte e ha dettato i ritmi del torneo, facendosi trovare pronta in tutte le competizioni. A noi non cambia nulla, per far avverare il miracolo dobbiamo vincere le ultime due partite». Spalletti consegna il titolo in anticipo alla Grande Rivale. Ma, al momento di stabilire che cosa baratterebbe per vincere lo scudetto, prende di nuovo tempo. «Ve lo dico la prossima settimana: abbiamo le nostre tentazioni…». Meglio restare al coperto, anche perché a Trigoria nessuno ha dimenticato il precedente di 7 anni fa: il 16 maggio del 2010, proprio al Bentegodi e contro il Chievo, la Roma di Ranieri fu campione d’Italia per 17 minuti, dal gol di Vucinic a Verona a quello di Milito a Siena.