(M.Niola) – Grazie Totti, che ci fai piangere e abbracciarci ancora. Dovrebbe cantarlo in coro tutta l’Italia, romanista e non. Perché l’addio al calcio del capitano giallorosso ha assunto le cadenze di un grande rituale popolare. Di quelli tanto amati da Pasolini, che considerava il calcio l’ultima liturgia collettiva di una società sempre più orfana di simboli. Domenica il Pupone si è rivelato fino in fondo un campione, ma nel vero senso della parola, cioè una parte che sta per un tutto. Un pezzo der core de Roma che diventa un pezzo del cuore d’Italia. Perché fa da specchio alle nostre passioni, ossessioni ed esaltazioni. Riassume e confessa ad alta voce i nostri timori e tremori. E così il calciatore che ha abitato a lungo le nostre barzellette, che ha alimentato il mito dell’atleta scarpe fini e cervello grosso, ha inanellato tutta una serie di argomenti da fare invidia a un filosofo teoretico e pure a un poeta metafisico. L’uscita dall’infanzia e l’ingresso nell’età adulta. La rinuncia all’eroismo della poesia, per adattarsi alla prosa di un quotidiano prosaico. La paura del tempo che passa inesorabile. Il brusco risveglio alla realtà dopo aver coltivato l’illusione che la vita è sogno.
Parole e concetti da Calderon de la Barca e da Shakespeare, che l’altro giorno si sono rincorsi sugli spalti di un
Olimpico perturbato e commosso, esaltato e affranto. In delirio per la Champions, in lutto per The Champion. Ma domenica un po’ perturbati e molto commossi lo siamo stati un po’ tutti perché, in realtà, quegli argomenti ci perforano la mente e ci stringono il cuore. Perché il tempo che passa e non torna, il
“maledetto tempo” lo ha chiamato Tottigol, ci sgomenta. È inutile nasconderselo. E per quanto cerchiamo di prepararci alle prove che ci riserva, non lo saremo mai veramente. È per questo che nessuno, nel suo piccolo, vuole appendere le scarpe al chiodo. Ma, sentircelo ricordare in un santuario della giovinezza come lo stadio, da un atleta che fino a ieri ci ha regalato sprazzi di bellezza e scariche di adrenalina e che improvvisamente ci chiama a pensare sui grandi misteri dell’esistenza, ci fa venire voglia di stringerci agli altri per sentirci meno fragili, meno esposti. E soprattutto meno adulti. Perché ogni passaggio della vita è una piccola morte, come ha scritto Maurizio Crosetti su queste pagine. Insomma Francesco Totti ha vissuto il suo rito di passaggio, ha smesso ufficialmente di essere giovane. E noi abbiamo perso con lui un pezzo della nostra giovinezza, un campione della nostra meglio età. Per questo gli vogliamo ancora più bene.
fonte: La Repubblica