Quando Rüdiger arriva nella saletta del Media Center di Trigoria dove svolgeremo l’intervista sembra andare di fretta. È meno alto di quanto mi immaginassi – sì, insomma, diciamo che non è un gigante – ma quando mi stringe la mano sento che è fatto di una consistenza diversa dalla mia. Rüdiger capisce l’italiano, lo sa anche parlare discretamente, ma con la stampa parla inglese.
Parlando del suo percorso recente, Rüdiger mi fa notare che da quando è arrivato in Italia non ha ancora mai fatto la preparazione estiva con la squadra, sempre per problemi fisici (il primo anno stava recuperando da un problema al menisco; quest’anno per la rottura dei legamenti crociati). «Le persone dimenticano che in questa stagione sono tornato da un infortunio molto grave», mi dice. «Non ho giocato per quattro mesi e poi ho ricominciato direttamente a giocare da titolare: fino ad oggi ho fatto più di 35 partite, è normale avere dei cali. Ma onestamente penso di essere stato costante in questa stagione. La scorsa stagione, sono stato più incostante: una o due partite buone, una cattiva. Ma questa stagione penso di essere stato costante». Il suo recupero è stato uno dei più veloci ed efficienti, considerando la gravità dell’infortunio. Lui stesso se ne stupisce: «A volte ci ripenso e dico che è stata una follia, che non è normale essere tornato così velocemente e così in forma. Quando sono rientrato in campo mi dicevano che era come se non mi fossi mai infortunato. Ma poi c’è stato un momento, dopo una decina di partite, in cui mi sentivo un po’ stanco. Ma è lì che interviene la testa. Avevo le idee chiare e questo credo sia il motivo per cui ho fatto un buon rientro». Oggi, dopo nemmeno due anni in Italia, nelle gerarchie dei tifosi romanisti sembra persino aver scavalcato Manolas. «Penso di essere migliorato. Quando sono passato dalla Germania all’Italia è cambiato tutto, due Paesi diversi, due tipi di calcio diversi. Devi adattarti e ci vuole del tempo: alcuni giocatori si adattano più velocemente, altri ci mettono un po’ di più. Ma penso che adesso sto giocando bene, anche con la palla. Mi sento molto in fiducia con la palla».
Questioni di campo
A un certo punto dell’intervista Rüdiger mi racconta che durante il primo incontro con Sabatini gli aveva chiesto di giocare come centrale di sinistra, perché aveva sempre giocato lì, oppure da terzino. Nella coppia di centrali, non si vede a destra, come sembrerebbe naturale. «Quando gioco a sinistra ho più opzioni, puoi giocare verso l’esterno o l’interno. Se giochi a destra hai solo due opzioni. Ok, ce l’hai anche quando giochi a sinistra… ma è principalmente o la palla lunga o il passaggio al terzino. E la palla al terzino io la chiamo the killer: perché se gliela passi cosa può fare? Ha la linea del fallo laterale dietro di sé ed è più facile da pressare».
Dice che nel periodo di adattamento lo ha aiutato De Rossi, che definisce the person who’s running the business. «Se gli chiedi qualcosa lui è la persona che ne sa più di tutti, ti può dire qualcosa sulla sua esperienza, cosa ha già visto. Può dirti tutto sulla Serie A, anche su cos’è successo in passato. Queste per me sono le cose interessanti».
L’influenza più grande sul suo percorso di crescita però è Luciano Spalletti. «Mi sta insegnando molto in difesa», dice. «Penso si veda: da quando è arrivato sono migliorato molto, secondo me». Soprattutto riguardo al lavoro tattico, Spalletti gli ha aperto le porte di un mondo che prima non conosceva. In Italia si lavora più sulla tattica rispetto alla Germania? «Sicuramente. Soprattutto da quando è arrivato Spalletti: è stato davvero… wow!».
«È un dato di fatto che in Italia si pensa più alla tattica», dice Rüdiger. «Guarda la Juventus: hanno vinto il campionato per sei anni, ma la differenza è come giocano. Non pressano come degli stupidi, usano la testa; pressano a seconda della situazione, a volte aspettano».
Ancora una volta torna il discorso del tempo: «Sono anni di duro lavoro: ognuno sa dove deve andare, e penso che non si parlino nemmeno così tanto tra loro. Chiellini, Barzagli, Bonucci e Buffon giocano da tanti anni insieme, in Nazionale e nel club, e quindi sanno perfettamente cosa sta facendo ognuno. Non credo che in Germania ci sia una squadra che difende come la Juventus. La Bundesliga è più fisica, è più di corsa. Le squadre vanno avanti e indietro. Se puoi correre per 90 minuti allora va bene».
Quando gli chiedo cosa manca alla Roma per raggiungere la Juventus, la conversazione finisce fuori dalle questioni di campo. «Prima di tutto è evidente la qualità dei giocatori della Juventus», inizia «La seconda cosa è che hanno la mentalità vincente. Ma la cosa più importante è Torino. Roma è diversa, lo sappiamo. Sono passati 16 anni da quando la Roma ha vinto lo scudetto. Quindi le aspettative delle persone sono molto alte».
Fa un esempio: «La scorsa stagione, all’inizio, noi abbiamo vinto tutto e la Juve invece ha perso qualcosa come otto partite, nonostante alla fine abbia vinto il campionato facilmente. Se lo stesso fosse accaduto a Roma sarebbe stato…». Non trova le parole, poi fa un respiro profondo, come se in realtà non ci volesse pensare oltre: «E invece lì non è successo niente. Ma io non mi sento sotto pressione, faccio sì che la pressione non arrivi a me». Spiega: «Ogni giocatore ha una mentalità diversa: alcuni se ne curano, e quindi si sentono sotto pressione e non riescono ad essere al 100%. È una cosa importante, penso: se puoi lavorare senza che le persone ti disturbino diventa tutto più semplice».
Zbigniew Boniek racconta di essersi trasferito da Torino a Roma proprio in cerca di un po’ di calore umano. Allora magari ci sono anche degli aspetti positivi. Rüdiger, però, sembra guardare a tutto ciò che viene fuori dal campo come al canto delle sirene, che cercano di farlo deviare dalla strada su cui si trova: «Non è importate se mi piace o no. Conta se tu ci fai caso, se la tua testa è concentrata su quello che pensano gli altri. Io non sono così, ma non significa che non mi interessi».
Utilizzo la parola “isolamento” per definire quello che ha appena detto ma lui mi corregge. «Io la chiamo protezione», mi dice «Sto solo proteggendo me stesso. Perché se inizi a pensare a ciò che dicono gli altri poi non puoi giocare a calcio».
Rüdiger è uno dei tanti giocatori che ha subito insulti razzisti, dai tifosi, ma nel suo caso anche da giocatori avversari. Un’altra cosa da tenere fuori dalla propria testa? «Non dico che gli italiani siano razzisti», dice. «Non mi sembra, però, che la Federazione italiana stia facendo qualcosa per fermare il razzismo. E questo è un problema. Perché in Germania se accadesse una cosa simile si prenderebbero dei provvedimenti. Ma qui non succede niente. È facile dire “No al razzismo”, fare striscioni allo stadio contro il razzismo, ma ad un certo punto devi mettere un limite».
Il problema è riemerso solo poche settimane fa, quando Muntari è uscito dal campo per via di alcuni insulti razzisti dagli spalti e le istituzioni lo hanno inizialmente punito con una giornata di squalifica. «È la sua reazione: lo posso capire perché so come ci si sente. Le persone la fanno troppo facile, dicono: Perché ha lasciato il campo? È facile finché non capita a te, è facile dire: Non devi reagire alle provocazioni. Se ti taglio il braccio esce fuori il sangue, e lo stesso succede se taglio il mio. È lo stesso».
Fonte: ultimouomo.com