(A.Austini) – Controsenso, paradosso, chiamatelo come volete. La sintesi è questa: Luciano Spalletti è l’allenatore che fa più punti nella storia della Roma e viene fischiato nel suo stadio. Vincente e contestato, caso non certo unico nel calcio, ma di sicuro merita una riflessione. I numeri son lì, sotto gli occhi di tutti, tranne di chi non vuole leggerli: nelle due esperienze sulla panchina giallorossa, il toscano ha ottenuto 416 punti in 209 partite di campionato, con una media di 1,99 a partita che diventerà un 2 «tondo» qualora riuscisse a battere Chievo e Genoa negli turni finali di campionato, riportando la Roma ai gironi di Champions. Per quantificare i meriti dell’allenatore di Certaldo basta fare un nome: Fabio Capello. Ecco, il condottiero dell’ultimo scudetto romanista di punti ne ha fatti 319 in 170 gare, per una media di 1,87 a match. Si potrà obiettare: con i record non si riempie la bacheca. Vero, così come è storia che sia proprio Spalletti l’ultimo ad aver arricchito il povero palmares di Trigoriacon la Coppa Italia 2009, il suo terzo trofeo. Non c’è dubbio, insomma, che almeno dal punto di vista statistico Luciano sia uno dei migliori allenatori della storia della Roma. Lo attaccano perché non è «politicamente corretto», lo fischiano perché si è messo contro l’icona al cuico spetto perderebbe chiunque: Totti. Alla fine, gira e rigira, si torna sempre lì. È il rapporto col capitano il vero tallone d’Achille di Spalletti, che ha le sue evidenti colpe ma non è stato neppure supportato a dovere in questa delicata gestione. Dal presidente Pallotta in primis (tornerà a Roma per il Totti-day del 28) e, diciamolo, dallo stesso capitano che proprio non ce la fa a vivere con serenità il finale di carriera.
fonte: Il Tempo