(T. Carmellini) Ma quale anti-Juve, ma quale lotta scudetto: quella non c’è mai stata. La Roma si riscopre «Rometta», perde l’ennesima sfida decisiva (quest’anno le ha sbagliate tutte) e si ritrova col Napoli sul collo a un solo punto di ritardo: secondo posto a rischio. Brutta roba con 4 partite da giocare e un calendario che, rispetto alla squadra di Sarri, grida vendetta: Milan e Juve in stretto ordine d’arrivo.
All’Olimpico il quarto derby dell’anno lo vince la Lazio. Con merito. Nonostante Orsato abbia fatto di tutto per cambiare le carte in tavola: è sicuramente lui il peggiore in campo della giornata. Inzaghi incassa l’intera posta, taglia ancora una volta le gambe alla Roma e porta a tre i «successi» nelle stracittadine stagionali (alzi la mano chi tra i romanisti reputi vittoria il 3-2 del ritorno di Coppa Italia). La Lazio fa altri tre punti pesanti che blindano definitivamente l’Europa per quella che è diventata di fatto la «stagione perfetta» alla quale i biancocelesti non devono far altro che mettere la ciliegina sulla torta. Europa centrata, finali di Coppa Italia e Supecoppa italiana contro la Juve e danni devastanti alla Roma… meglio di cosi! Non male per un gruppo partito tra mille incognite, con un allenatore tutto da scoprire e che secondo molti non avrebbe mangiato nemmeno panettone. Invece Inzaghino è il trionfatore della giornata e non solo: la «incarta» un’altra volta al più titolato Spalletti e si conferma sulla panchina per il futuro.
La sintesi dell’assolato «lunchtime» dell’Olimpico è fatta: vince la Lazio perché ne ha di più: ha più voglia, cattiveria, sa interpretare le partite chiave della stagione in maniera migliore e proprio contro la Roma si aggiudica il suo primo scontro diretto con una big. La Roma invece le gare «decisive» le sbaglia tutte: e più sono importanti per classifica e tifosi, più le fallisce. Una cosa sistematica che non può più essere affidata ai numeri del fato: il problema c’è, è evidente e Spalletti ne è sicuramente una delle cause principali. Basta con la promessa/minaccia «a fine anno vado via se non vinco qualcosa», perché questa cosa ha fatto solo danni. E i tentennamenti sul suo futuro dell’ultimo periodo sembrano più figli di un «vado qui o vado là» che non di una seria riflessione attorno a programmi sul prossimo anno, magari condizionati all’arrivo del nuovo ds Monchi.
Il tecnico toscano aveva detto di non voler influenzare in maniera negativa la squadra con le indiscrezioni sul suo futuro, ma lo sta facendo eccome. Tutti sanno che a fine stagione andrà via (anche perché già da tempo si sa che non potrà vincere nulla, almeno che non punti sulla Coppa del Nonno), come pretende allora che la squadra sia ancora pronta a buttarsi tra le fiamme per lui? Sembra piuttosto un clima da rompete le righe, forse per certi versi anche complice le fatiche di una stagione lunghissima, al temine della quale la Roma avrà giocato ben undici parite più degli avversari: e si sentono tutte.
In campo e apparso un gruppo scollato che ha fatto del possesso palla sterile la sua arma “perdente”. Senza grinta, una squadra cotta che è partita forte ma dopo nove minuti aveva già dato tutto quello che poteva. Dall’altra parte una Lazio tonica, che ha voglia seppur senza Immobile fermato nella rifinitura per un virus intestinale. La gara gira con il tunnel di Lulic a Rüdiger (sempre loro due…) che fa da prologo al decollo biancoceleste. La rete di Keita spalanca la strada ai suoi mentre la Roma accusa il colpo e non fa più un’azione da gol fino all’intervallo. Deve solo dire due volte grazie a Orsato che prima nega alla Lazio un rigore netto per un fallo di Fazio in area su Lukaku e poi regala ai giallorossi un penalty: inesistente la sfalciata di Wallace su Strootman che si tuffa senza essere toccato: la cosa gli costerà la squalifica.
La ripresa si apre sull’1-1 ma non cambia lo spartito: la Roma parte forte, Dzeko sbaglia di nuovo un gol dopo tre minuti di gioco, poi solo Lazio. La Roma tiene palla ma sono sempre gli altri a fare le cose migliori: ogni volta che la palla attraversa la meta campo, lì dietro Manolas & Co. ballano. L’apoteosi biancoceleste arriva col primo gol da laziale di Basta (deviazione galeotta di Fazio) che riporta i suoi avanti prima del secondo sigillo di Keita che manda letteralmente in delirio i suoi e creerà qualche problema in più a Lotito per il rinnovo. «Appuntamento al prossimo incubo» recita lo striscione della Nord: i romanisti sono avvertiti, ma intanto c’è da risvegliarsi da questo. Perché non è ancora finita.