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Il Messaggero Eusebio, le regole del gioco

(S. Carina) Eusebio Di Francesco, nuovo allenatore della Roma (verrà presentato a metà della prossima settimana), ama parlare di calcio. E soprattutto spiegarlo. Un po’ quello che faceva Spalletti all’inizio della sua seconda avventura romana, prima di perdersi in molteplici e stucchevoli crociate personali. Più volte lo ha fatto a Sassuolo, ripetendosi anche in un paio d’incontri a Coverciano, organizzati dall’Aiac, dove si è soffermato sulla sua filosofia di gioco. Interessante, ad esempio, capire la tattica che utilizza per affrontare le squadre che si chiudono: «L’importante è avere pazienza – spiega – . C’è chi pensa sia meglio giocare sulla seconda palla e lanciarla lunga. Io no, voglio che si giri il pallone velocemente per trovare un varco. E nel farlo, il modo più semplice è farlo sugli esterni, dov’è possibile creare con più facilità la superiorità numerica». Indicazione utile anche in ottica mercato. Capitolo ripartenze: «Non le alleno di per sé, preferisco abituare i miei ragazzi ad attaccare velocemente cercando le linee di passaggio che conosciamo. La mia filosofia è semplice, palla avanti in verticale per aggredire la profondità. Perché se mi schiaccio, e non ho uomini in zona, fatico poi ad attaccare». Filosofia che spesso e volentieri lo ha accostato a Zeman. Di Francesco, però, appare più malleabile tatticamente rispetto al boemo: «Imporre a priori il 4-3-3 è un errore. Non lo nego, è un modo di giocare che mi piace molto ma nella mia carriera ho anche cambiato. Posso giocare col trequartista, a due in mediana… Non sono un dogmatico». Lo dimostra l’attenzione sulle palle inattive: «Alterno zona e uomo. La prima la prediligo soprattutto sulle punizioni laterali. Marcando a uomo, infatti, crei troppi spazi e rischi di abbassarti».

ABRUZZO STYLE Tattico, quindi, ma con moderazione: «Non c’è un tempo pre-stabilito che dedico alla tattica – continua -. Sono però stato un calciatore e non mi piace annoiare. Quindici minuti fatti bene, a volte, possono bastare. Preferisco lavorare sul campo e farlo per reparti. L’importante è la ripetitività del gesto per farlo diventare naturale».

Al Sassuolo, senza le coppe, la settimana tipo era organizzata così: lunedì riposo; martedì ripresa con lavoro fisico con partita finale di 20 minuti in uno spazio 80×55; mercoledì doppia seduta, con lavoro sulla forza la mattina e tecnica nel pomeriggio; giovedì partita in famiglia o contro la Primavera, utilizzando ogni calciatore per 35 minuti; venerdì analisi video più lavoro tattico a blocchi per difesa e attacco; sabato ancora analisi video, poi schemi su calcio piazzato e situazioni difensive pre-gara soltanto con i 4 titolari del reparto; domenica la partita, con comunicazione della formazione soltanto un’ora e mezza prima del match. Una forma di rispetto nei confronti dello spogliatoio, al quale demanda il regolamento interno: «Lo scrivono i ragazzi ad inizio stagione. Poi io lo leggo e al massimo aggiungo o cambio qualcosa. Mi piace responsabilizzarli». Anche nel lavoro quotidiano. E in esercizi che, apparentemente, possono sembrare inutili. Come l’undici contro zero: «C’è chi mugugna ma è importantissimo per lo smarcamento, l’attacco della profondità, la precisione nel passaggio, per giocare a due tocchi, i tempi di entrata. E soprattutto s’impara ad accompagnare tutti insieme la palla». Pallone che nei suoi allenamenti «è presente al 90%. Altrimenti, sai gli sbadigli».

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