(A. Managò) – “Il Partito democratico voterà no perché vuole lo stadio della Roma, sembra una contraddizione, ma non lo è perché questa delibera purtroppo bloccherà la procedura”. Poi, addirittura, un’indiscrezione che parla di una telefonata fatta da un consigliere dem ai vertici del club giallorosso per giustificare il no all’operazione nonostante fosse stata avviata dalla precedente maggioranza guidata proprio dal partito di Matteo Renzi.
NELLA DICHIARAZIONE di voto, pronunciata la settimana scorsa dal consigliere capitolino Pd Giulio Pelonzi durante la discussione sulla pubblica utilità del progetto dello stadio dell’As Roma, è riassunto tutto lo spaesamento dei dem dopo il primo anno di Virginia Raggi in Campidoglio. Un’opposizione, spesso sterile, che ha scontato un peccato originale: molti dossier affrontati dall’Assemblea Capitolina negli ultimi dodici mesi sono eredità dalle giunte di centrosinistra, alla guida della città per diciassette degli ultimi venticinque anni. Così, tra equilibrismi verbali e qualche discorso “strillato” in Aula, il gruppo Pd è finito spesso a recitare il ruolo di “migliore alleato” della giunta pentastellata. Dalla vicenda stadio fino alla discussione sul patrimonio comunale, la posizione dei dem è apparsa contraddittoria, trovando maggiore verve solo di recente sulla controversa delibera a 5 Stelle che regolamenta il commercio su aree pubbliche.
Come racconta in un retroscena Il Messaggero, lo stesso Pelonzi, tra l’altro uno dei consiglieri di opposizione più attivi nel presentare emendamenti correttivi al testo, avrebbe contattato la società di James Pallotta nei mesi scorsi per spiegare che lo stadio va fatto ma la l’opposizione politica prevale su tutto (“Ci dispiace, ma abbiamo fatto una battaglia sullo stadio in questi mesi e dobbiamo votare no”, la frase riportata dal Messaggero). Nel dicembre 2014, infatti, era stata una maggioranza guidata dal Pd ad assegnare la pubblica utilità alla prima versione del progetto, a cui invece il gruppo M5S allora si oppose: ora però le esigenze di partito richiedono scelte contrarie. E pensare che sulla delibera dello stadio una maggiore dose di mediazione politica avrebbe potuto migliorare il progetto. Perché la nuova versione della delibera – frutto dell’accordo stretto a febbraio scorso dalla sindaca con la dirigenza dell’As Roma e il costruttore Luca Parnasi che ha ridotto del 50% le cubature del business park – rischia di avere problemi sul versante della mobilità. Con questo mastrerplan, dove la diminuzione delle cubature corrisponde a quella delle opere pubbliche pagate dai privati (scese a 120 milioni di euro), una parte non secondaria della viabilità viene affidata a due infrastrutture, il ponte dei Congressi e il restyling del tracciato della ferrovia Roma-Lido, legate a finanziamenti statali ancora lontani dalla fase di cantierizzazione.
Se insorgessero delle complicazioni – della prima si parla da oltre dieci anni, la seconda è una delle ferrovie urbane peggiori d’Italia – il rischio è massimo che venga costruito uno stadio moderno da raggiungere però incolonnati nel traffico come accade oggi con l’Olimpico.
I problemi del Pd in Comune non si limitano alle acrobazie verbali, perché oltre a fare opposizione contro progetti che precedentemente aveva caldeggiato si trova anche a rivendicare la “defenestrazione” del suo ultimo sindaco, Ignazio Marino. Fedele a questo paradigma, ieri il presidente del partito, Matteo Orfini, è arrivato addirittura a consigliare ai grillini di applicare lo stesso metodo con la Raggi: “Un partito serio dovrebbe fare quel che abbiamo fatto noi, chevla Raggi sia il futuro ex sindaco lo hanno capito già tutti”. Ecco allora che, dato il contesto, la sindaca ha buon gioco nell’assegnarsi da sola un voto ben oltre la sufficienza per il suo passaggio del primo anno di mandato: “Direi un sette e mezzo”.
A questa fiera dell’assurdo con- 100 tribuisce anche la campagna elettorale per l’elezione del segretario del Partito democratico romano. Dopo due anni e mezzo di per commissariamento della federazione cittadina, retto proprio da Orfini, il 25 giugno quattro militanti, generosi ma poco conosciuti, si contenderanno la guida dell’opposizione alla giunta pentastellata. La sfida è tra il giovane renziano Andrea Casu e la consigliera capitolina Valeria Baglio, con la corrente vicina all’ex premier che per la prima volta prova a mettere le mani sul partito cittadino, dove non ha mai sfondato. E gli otto consiglieri in Aula che fanno sentire la loro voce più nei comizi nei circoli a sostegno del loro candidato che non quando si tratta di fare opposizione. Perché il partito è tutto, con buona pace anche della coerenza.
Fonte: il fatto quotidiano