(Alessio Nardo) – In effetti, quell’immagine ha fatto un po’ impressione. Aleksandar Kolarov vestito di giallorosso, durante i primi allenamenti a Boston, pronto a calarsi in una nuova avventura professionale. Forse l’ultima a grandissimi livelli. 7 anni di Manchester City alle spalle, intensi e un po’ logoranti, tanto da fargli venire qualche capello bianco di troppo. Nella nostra memoria, ancora, le sue sgroppate micidiali ai tempi della Lazio. Tre stagioni, dal 2007 al 2010, in cui trovò pure il modo di farci male in un derby. Un gol pazzesco, da fenomeno. Quale lui sa essere, quando vuole, dato il bagaglio tecnico a disposizione. I tifosi dell’altra sponda non hanno digerito il tradimento, qualche romanista avrebbe evitato volentieri di vederselo dentro casa. Tant’è. Ora Kolarov c’è, è della Roma ed è pronto a diventare il padrone della fascia mancina, in attesa di una sana e intrigante concorrenza con Emerson Palmieri. Oltre a forza fisica, carattere, esperienza e qualità, Di Francesco si ritrova fra le mani un’arma da non sottovalutare: l’abilità sui calci piazzati. L’assenza di un artista delle punizioni si è fatta sentire nell’ultima stagione, nonostante gli apprezzabili sforzi di Leandro Paredes e Stephan El Shaarawy.
Kolarov in Italia colpì, su palla inattiva, l’Inter e la Fiorentina (due volte). E al City ha confermato le sue doti, segnando in partite importanti e contro avversari di spessore come Napoli, Real Madrid e Manchester United. Sinistro a giro o botta potente? Fa poca differenza. Il piede raffinato e micidiale dell’ex laziale è un pericolo per chiunque. Per citare una battuta di un noto film, può esser ferro o piuma. In entrambi i casi il risultato è spesso disastroso per gli avversari. Si sentiva il bisogno di uno specialista, visti i recenti addii. Quello di Francesco Totti, ovviamente, capace di segnare 29 gol su punizione durante la sua lunghissima e infinita carriera. Tra l’altro, in tanti modi diversi: a giro, di insana potenza, alla Juninho Pernambucano con le famose “tre dita”. Quel Juninho maestro e insegnante di Miralem Pjanic, che ha realizzato ben 12 calci di punizione durante il suo quinquennio romanista, doppiando un altro grande battitore. Sì, lui, Marcos Assunçao, accolto da uno striscione storico (“Assunçao ma come fao”) nella sua prima estate in giallorosso, nel 1999. Sei reti su palla inattiva. Alcune, degli autentici capolavori. Rincorsa corta, gambe allargate, un passettino lesto e destro a giro implacabile. Stessa tecnica di esecuzione di un altro verdeoro, Julio Baptista, che colpì tre volte su punizione, esattamente come John Arne Riise e Cristian Chivu, due difensori mancini dal piede creativo. Un po’ come Kolarov. Solo due (a sorpresa) le punizioni vincenti di Gabriel Omar Batistuta con la Roma. Una celebre, al Verona: destro devastante che piegò le mani al malcapitato Fabrizio Ferron. L’altra, alla Triestina in Coppa Italia, torneo in cui un serbo dal mancino superbo (vi ricorda qualcuno?) si esaltò nella stagione 1992-1993: Sinisa Mihajlovic. Per l’attuale mister del Toro 4 gol giallorossi su palla ferma. E qualche anno più tardi, nel 1998, il “tradimento”, il passaggio all’opposta sponda. Con tanto di scudetto vinto nel 2000. Non sarebbe male se Aleksandar riuscisse a ripercorrere le orme del suo connazionale Sinisa.