Se l’Inter sabato sbancasse l’Olimpico, lui sarebbe scosso da un brivido. Comprensibile. Quella che avranno davanti i nerazzurri, infatti, è praticamente la «sua» Roma. Del presumibile undici titolare, infatti, solo due giocatori non hanno a che fare col suo mercato: De Rossi (in giallorosso prima del suo arrivo) e Defrel.
Le plusvalenze sono state sempre il suo biglietto da visita anche alla Roma, dove ha messo a posto i conti alla proprietà Usa anche a costo di rinunciare ai gioielli. Da Marquinhos a Benatia, da Lamela a Pjanic, la lista dei rimpianti è lunga, ma mai quanto quello che resta il suo peccato più grande: non avere vinto niente nella Roma («è il mio cruccio»).
Per questo Sabatini ha confessato: «Ho creduto che la Roma potesse essere la mia». Invece non lo era, e così il rapporto col vertice è entrato in crisi, sopratutto nel momento in cui il d.s. ha avuto la sensazione di essere stato commissariato.
Idilliaco non è stato neppure il rapporto con Totti, che avrebbe voluto far smettere un anno prima. «E pensare che mio figlio Santiago va a dormire con la maglia di Francesco addosso», ha ricordato. Come dire, c’è ancora un Sabatini con la Roma sulla pelle. E allora chissà se adesso Walter ricorda una frase che disse poco prima dell’addio: «Quando sarò morto, vorrei essere ricordato come direttore sportivo della Roma». Difficile.
fonte: M. Cecchini – La Gazzetta dello Sport