
(A.Angeloni) – Edin Dzeko certe volte avrà pensato: ma cosa devo fare di più? Come abbassa un attimo il tiro, curva un po’ il destro, ecco che arriva il solito refrain: «Si mangia troppi gol». Incredibile ma vero, diventa preponderante la rete fallita piuttosto che quella segnata. E’ il destino di chi non piace fino in fondo. O forse no, diciamo cheEdin fatica solo a trovare il consenso totale della gente. Non è personaggio, è solo una persona. Semplice e professionale: il mestiere è segnare tanto e lui lo fa. Sarebbe curioso fare un sondaggino: preferite Voeller o Dzeko? Tanti risponderebbero il tedesco, perché volava sotto la Sud, sudava per la maglia, crossava e colpiva di testa il pallone che lui stesso aveva buttato in area. Eppure vai a scrutare qualche numero e scopri che Rudi, a cui vogliamo tutti bene davvero, in cinque anni ha segnato 45 gol in 142 partite. Dzeko è a quota 50 dopo 92. Siamo a livelli realizzativi nettamente superiori. Però, che dire, magari quella Roma aveva un magnetismo diverso, nella quale anche Rizzitelli (29 reti in 154 partite dal 1988 al 1994), bomber non eccezionale, è rimasto dentro i tifosi da sempre e per sempre, anche oggi lo ricordano con affetto e lui ancora adesso piange per la Roma. Dzeko è più freddo, mano passionale questo sì, ma segna a ripetizione, a parte il primo anno, che non è andato benissimo. Segna nella Roma, segna in Nazionale. A grappoli. In Bosnia è l’idolo di casa, l’ambasciatore nel mondo, qui sembra uno normale, uno dei tanti. Qui si è sentito dare del “molle” dell’inutile, del bidone, di quello che sarebbe dovuto andare via in prestito pur di liberare quella maglia. E’ arrivato come il nuovo Batistuta e doveva portare lo scudetto, che non è arrivato. Questo è stato condizionante nella prima stagione.