(A. Angeloni) Quando Romeo Anconetani, il vulcanico presidente del Pisa (così veniva definito ai tempi), lo portò in Italia, Diego aveva poco più di vent’anni. Un giovincello argentino, tutto muscoli e garra, veniva dal Racing Club de Avellaneda e prometteva bene. Quando, oltre che i muscoli, mostrò i testicoli (e qualcosa di più) verso i tifosi della Roma dopo un derby (quello finito con la rimonta completata da Castroman), ne aveva una trentina. Era maturo e leader di una squadra con cui alla fine avrebbe vinto lo scudetto, una coppa Italia, una Supercoppa italiana e una europea, tra l’atro segnando una ventina di gol, il più famoso quello del tricolore contro la rivale Juventus.
GESTI – Quel gesto, dicevamo. Un gesto da derby, come ce ne sono stati tanti: lo ha fatto De Rossi, uguale identico, lo ha fatto Totti, di genere diverso, lo ha fatto Di Canio, Chinaglia etc etc. Ma poi ci si scandalizza solo da una parte e non si capisce perché. Il Simeone calciatore si è sempre buttato in mezzo senza tirare via la gamba, ci ha messo spesso la faccia, colpita anche da uno sputo da Zago, sempre durante un altro caldissimo derby (1999). Simeone torna a Roma da avversario dei giallorossi, stavolta da allenatore ma le caratteristiche sono quelle. Non è cambiato. Certo, ricordare quei derby è anacronistico, dire che per lui quello di domani lo sarà significa viaggiare fuori dalla realtà, ma di sicuro possiamo sostenere che il Cholo per i tifosi della Roma resta un nemico amatissimo, mentre è un amico amatissimo (per i motivi per cui i giallorossi lo detestano) per quelli della Lazio. Domani sera arriva qui con alle spalle un palmares più grande di quello di Roma e Lazio messi insieme. Gli manca la Champions, quella sì. E l’ha sfiorata come allenatore dell’Atletico, combattendo contro corazzate comeBarcellona e Real Madrid.
NON È PEP – Simeone non è un esteta del gioco, non è un rivoluzionario alla Guardiola, non un ricercatore di pezzi di calcio, è un semplice, un essenziale. Uno che se allenasse oggi in Italia gli darebbero del catenacciaro. In Spagna, terra della libertà calcistica e dell’educazione allo spettacolo, viene rispettato e il suo Atletico vola sempre nelle zone alte e in Champions arriva fino in fondo. Questo lo ha reso leggenda a Madrid: con i Colchoneros ha vinto in Europa ma “solo” l’Europa League nel 2012.
VICE GIAMPAOLO – Simeone, lo ricordiamo, ha allenato anche in Italia, sostituendo Marco Giampaolo sulla panchina del Catania, era la stagione 2010/11 e lo portò al 13esimo posto con 46 punti, record per il club siciliano.
LA PROFESSIONALITÀ – Nell’ultimo campionato con la Lazio si rompe il crociato. Lui voleva accelerare i tempi per giocarsi il rush finale: la mamma gli consigliò un vecchio rimedio indios, ovvero nutrirsi di cartilagini delle zampe del maiale. Simeone, forse anche per questo, dopo sei mesi era in campo giusto in tempo per far piangere l’altra sua squadra del cuore, l’Inter, nella famosa partita del 5 maggio 2002. Lui un uomo d’onore, al di là dei gestacci da derby, che domani sera molti ricorderanno, fischiandolo. E’ ovvio.