(G. Lengua) Lorenzo Pellegrini avrà vissuto cinque mesi d’ansia da gennaio a maggio scorso, un periodo in cui l’opportunità di ritornare alla Roma stava diventando sempre più concreta. Un ruolo fondamentale lo ha avuto Monchi che, oltre a pagare la recompra di 10 milioni fissata da Sabatini, lo ha aiutato a rimanere sereno dandogli le certezze di un futuro in giallorosso. A fine giugno, l’ufficialità: Lorenzo è tornato a casa insieme con Di Francesco, l’allenatore che lo ha cresciuto per due anni al Sassuolo. «Lui ci dà un’impronta,ma tanti movimenti sono dettati dagli avversari. Con il Verona molte volte siamo entrati sia con De Rossi che imbucava perché c’erano spazi centrali, sia con gli esterni», spiega Pellegrini a Roma Radio.
IL CERCHIO SI CHIUDE – Lorenzo incarna il modo di giocare di Eusebio, verticalizza e conosce a memoria i movimenti che chiede il tecnico, è un passo avanti rispetto ai compagni di reparto, nonostante abbiano dalla loro qualità ed esperienza. Un vantaggio da non sottovalutare che utilizzerà sia per strappare un posto da titolare nella Roma (sfruttando il calo di Strootman), che per convincere Ventura a portarlo al Mondiale in Russia (spareggi permettendo): «Sognavo un bel debutto all’Olimpico, la prima volta c’è sempre la speranza di far bene, è stato un sabato perfetto. La squadra è a buon punto, lo vedo dagli allenamenti perché sulla catena di sinistra Kolarov, Nainggolan ed El Shaarawy hanno interpretato benissimo la partita con il Verona». Ha scelto la maglia numero 7 quella che un tempo indossava Bruno Conti, ed è stata proprio l’ex ala della Roma a portarlo a Trigoria quando Lorenzo aveva solo 9 anni. Montella gli ha cambiato ruolo nei Giovanissimi Nazionali spostandolo da attaccante a mezzala e Garcia lo ha fatto esordire in Serie A il 22 marzo del 2015 a Cesena. Il ritorno alla Roma è un cerchio che si chiude, sabato sera era uno dei tre romani (con Florenzi e De Rossi) in campo che giocavano sul prato dell’Olimpico, non succedeva da 736 giorni.