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La Repubblica La maglia contro l’antisemitismo ma in curva cantano: “Me ne frego”

(E. Marrese) Quando le parole di Anna Frank, lette dallo speaker, riempiono il silenzio del Dall’Ara prima della partita, i capi (o i supplenti) dello spicchio di curva laziale interrompono i cori a mani alzate, si sbracciano per far tacere tutti, ci riescono subito. «Boni che ce stanno tutti a guardà» è l’ordine. Recepito. E alla fine tutti applaudono anche nel settore ospiti, insieme al resto dello stadio. A Bologna sono andati lo stesso quelli che vogliono solo vedere una partita e tifare Lazio, senza timore di essere «complici del teatro mediatico», come hanno invece giustificato gli Irriducibili in mattinata il loro forfait. La decisione ha scatenato il dibattito interno, almeno a livello social. I padroni della Nord hanno disertato la trasferta, nella curva dedicata alla memoria di Arpad Weisz, allenatore ebreo del Bologna trucidato ad Auschwitz con moglie e due figli piccoli, non ci hanno messo piede.

L’assessore allo sport bolognese Matteo Lepore li ha ironicamente ringraziati per l’assenza a nome di «Bologna città medaglia d’oro della Resistenza». Ma quel pezzetto di curva non è rimasto deserto. I biancocelesti sono cinque o seicento anziché i mille annunciati. I più agitati sono qualche decina, teste rapate e bomber neri, e all’ingresso nell’attesa che i cancelli venissero aperti hanno intonato un “Me ne frego” di stampo fascista: basterà quello a rovinare anche stavolta la reputazione della maggioranza, perlopiù famiglie e gruppetti di ragazzi “tranquilli”, non militanti, arrivati con mezzi propri. Dentro lo stadio, qualche bandierina e nessuno striscione, solo cori per la propria squadra e insulti per i bolognesi, anzi le bolognesi. «La vostra specialità tortellini e b…ni, tutto il mondo lo sa: bolognese zoccola». Più volte. Questa sì, potrebbe al limite essere goliardia. «Ce squalificano? Se po’ dì gay almeno?» scherza un coattone con la barba, un po’ su di giri.

C’è una ragazza con il volto di Anna Frank sulla maglietta bianca. Una. È una giornalista di Piazzapulita, La 7. I laziali non hanno voglia di parlare e quelli che lo fanno ripetono le solite cose: è una montatura, è colpa dei giornali, sono nel mirino, ‘ste cose le fanno anche gli altri ma non succede tutto ‘sto casino, è sbagliato sì però. «Ma poi è morta ‘sta ragazza?» chiede una ventenne o giù di lì al padre, aspettando che la partita inizi. «Sì, s’erano nascosti in casa ma li hanno trovati e deportati». Se ne parla, almeno. Filippo ha tredici anni, come uno dei ragazzini beccati ad appiccicare gli adesivi della vergogna in curva Sud domenica scorsa all’Olimpico, è la prima volta che entra in uno stadio, ha il faccino pulito ed è preparato in storia: «Sì lo so – risponde -: Anna Frank era una ragazza ebrea morta in un campo di concentramento». Il padre Cesare sorride. Vengono da Senigallia, racconta: «Avevamo comprato i biglietti prima di tutte queste stronzate, speriamo solo di vedere una bella partita. Sto provando a trasmettere la passione a mio figlio, non è facile, l’ho portato anche sulle Dolomiti al ritiro della squadra un paio di volte, e questa è la prima allo stadio. Mi stava diventando juventino, speriamo di essere in tempo… » sorride.

Lotito non è molto amato da queste parti, si sa, alle sue gaffe sono abituati, ma stavolta sono parecchi a pensarla come lui sulla “sceneggiata” in Sinagoga, come da conversazione al telefono “rubata” in aereo al presidente laziale. Una delegazione laziale, formata dal giocatore Lulic, dal ds Tare e dal team manager Peruzzi, prima della partita è andata a sotto la targa dedicata ad Arpad Weisz per deporre una corona di fiori. «Chi ha fatto quel gesto – dice Tare – va condannato e radiato dagli stadi. Però non va strumentalizzata questa cosa, non è giusto indicare la tifoseria della Lazio come la pecora nera». C’è sempre un se, c’è sempre un ma.
Sotto la torre di Maratona, nei distinti, l’associazione “W il Calcio”, con la collaborazione di molte altre realtà locali, ha distribuito un migliaio di adesivi con Anna Frank in maglia rossoblù. La stessa immagine, quella della piccola olandese, che avevano i giocatori laziali nel riscaldamento e all’ingresso in campo. Con il logo dello sponsor tecnico sopra la faccia della ragazza.

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