(G. Mura) – Mercoledì, sul tardi e con una certa fatica, mi sono messo nei panni di uno degli Irriducibili che aveva compiuto l’impresa di segnare, come del resto fanno tutti gli animali, un territorio non suo ma conquistato: la curva Sud. E ho creduto di vedere brindisi a volontà e morale alle stelle, massimo risultato col minimo sforzo. Degli adesivi con la povera Anna Frank si discuteva in tutta Italia, anzi in tutta Europa e in una larga fetta di mondo. Il “me ne frego” scandito da tifosi laziali a Bologna era diretto non solo alla lettura di un brano di Anna Frank allo stadio, ma al coro di condanne, agli eventuali Daspo in arrivo (alcuni già arrivati in settimana), tanto è possibile aggirarli, alle richieste di portare comitive di tifosi nazifascisti a Bergen-Belsen o a Dachau perché sappiano cos’è stato l’Olocausto. Temo però che in quei luoghi di dolore andrebbero come si va a Disneyland. Non diamogli anche questa soddisfazione, ai puri e duri dell’Heil Hitler. Sul puri ovviamente si può eccepire e anche sul duri: quando la polizia polacca ne arrestò qualcuno, in una trasferta, piangevano e chiamavano la mamma, tant’ è che intervenne la Farnesina.
Cos’è stato l’Olocausto lo sanno o credono di saperlo: un’invenzione (i negazionisti, che purtroppo non vivono solo nelle curve degli stadi) o un rimedio, e peccato non si possa più fare: sterminare gli ebrei, i comunisti (le zecche), gli omosessuali (i froci), i Rom (gli zingari), tutta gente indegna e odiata da un Irriducibile, dentro lo stadio e fuori. Cos’è stato l’Olocausto lo sanno, altrimenti non userebbero per le loro goliardate il volto di Anna Frank, uno dei simboli più noti. Come pare l’abbiano usato in passato i romanisti. Non è tifo, non è più tifo: è antisemitismo professato negli stadi perché il gesto ha più risonanza e in fondo non si rischia molto, almeno finché non verrà deciso che per un certo tipo di goliardata si va in galera o ai servizi sociali. Leggo sulla Stampa che negli stadi italiani gli episodi di antisemitismo tra il 1989 e il 2000 erano 56. Diventati 630 tra il 2000 e il 2014. E nel solo 2016 sul web i messaggi antisemiti sono stati 382.000, vale a dire uno ogni 83.
Mercoledì, sul tardi e con minore fatica, mi sono messo nei panni di altri laziali. Non di Lotito, impresa superiore alle mie forze, ma di Simone Inzaghi, di Igli Tare, di uno qualunque dei giocatori, da Luis Alberto a Bastos, da Immobile a Parolo. La Lazio sta attraversando, per gioco, classifica e simpatie raccolte, uno dei migliori momenti della sua storia. Non dev’essere piacevole, per loro e per la parte non deviata della tifoseria, essere additati, pur senza colpe, come quelli che hanno ferito la sensibilità e la memoria in una dimensione che va ben oltre i nostri confini. Domenica scorsa, in poche righe, avevo detto del mio stupore per quella squalifica schivata volando da una curva all’altra, come se la squalifica non riguardasse persone ma gradoni di cemento. Sentivo che sarebbe successo qualcosa, ma non a quei livelli. Lo sentivo perché conosco abbastanza la mentalità degli ultrà: la curva è la loro casa, la loro chiesa, la loro tana: dev’essere inviolata, non devono metterci piede elementi sgraditi, a cominciare dai poliziotti, che infatti se ne guardano bene, su disposizione dei superiori. Ritrovarsi per una volta nella Sud, curva e tempio dell’odiato nemico, era un avvenimento da festeggiare con particolare entusiasmo e impegno. Bisognava dare il meglio, cioè il peggio.
Dato in abbondanza. Ma tutto questo non poteva proprio essere evitato? Secondo me sì, se qualcuno vigilasse seriamente. Invece è tutto un coro di “non lo sapevamo”, “non toccava a noi”, “è mancata la comunicazione”. In sostanza, Lotito non avrebbe avvertito nessuno del suo escamotage. Non ci credo. Ma, quand’anche non avesse reso nota la sua intenzione su carta intestata, esistono pur sempre le radio, le tv, i giornali. Conoscendo il modus operandi di Lotito e i lunghissimi precedenti specifici della Lazio, è mai possibile che all’Osservatorio del Viminale nessuno sia intervenuto per impedire quel passaggio da curva a curva? Sì, è possibile, e allora via coi corsivi sul calcio italiano che non funziona. Verità parziale. È l’Italia che non funziona […]
Fonte: la repubblica