(A. Valentini) Se quella giallorossa della Roma è da sempre una seconda pelle, nella sua carriera Francesco Totti ha onorato anche un’altra maglia, quella della Nazionale, fino al trionfo Mondiale di Berlino 2006. Con lo stesso talento, la stessa generosità e lo stesso attaccamento che non ha mai risparmiato alla sua squadra di club. A testimoniarlo non sono soltanto le 58 presenze e i 9 gol in azzurro: il suo percorso in Nazionale nasce con l’Under 15; e poi tutta la trafila delle Rappresentative giovanili fino al primo titolo, quando nel ‘96 trascinò l’Under 21 di Cesare Maldini alla vittoria nei Campionati europei.
Esisteva allora anche l’Under 23 e sotto la guida di Tardelli, l’anno dopo, l’Italia di Buffon, Fiore e Giannichedda conquistò l’oro ai Giochi del Mediterraneo, con due gol di Totti nella finale con la Turchia. Si è scritto e si è detto tutto di Francesco Totti anche in occasione dei 41 anni appena compiuti. Delle sue qualità tecniche e della sua classe, del suo carattere e del suo temperamento. Ma chi ha vissuto con lui per tanti anni l’esperienza in Nazionale ha avuto modo di apprezzarne anche il lato umano, la capacità di sdrammatizzare e risolvere con una battuta situazioni tese e delicate, prepartita ad alta tensione, con l’arguzia e la bonomia che sono patrimonio dei romani veri come lui.
Quando il pullman della Nazionale arrivò allo stadio di Dortmund per la semifinale mondiale contro la Germania, in un’atmosfera ostile e minacciosa, tra i tifosi tedeschi apparve un omino scheletrico ed emaciato che inveiva contro gli azzurri. Ci pensò Totti a “stenderlo” e a stemperare il clima con una risata collettiva: «Vai a casa nonno, che se te becca il sole ti fa nero». «Mister, Francesco è matto, ha detto che fa il cucchiaio a Van der Sar ,quello è alto due metri», fu l’sos lanciato a Zoff da Di Biagio nel drammatico finale ai rigori contro l’Olanda, semifinale agli Europei 2000. Troppo tardi, Totti era già partito verso il dischetto. E anche quella volta non smentì classe e carattere.