(A.Angeloni) – Su WhatsApp ha una foto che lo ritrae con Enzo Bearzot. Tra loro la Coppa del Mondo vinta nel 1982 in Spagna. Vista la situazione, è un po’ come infilare il coltello nella piaga.
Vero, Bruno Conti?
«Sempre bei ricordi e li porto ancora con me. Sono passati tanti anni, ma quella Nazionale è stata fantastica». Non si può dire lo stesso quella attuale, giusto? «E’ cambiato tutto, siamo nel mondo dei social, dei software, che guidano un po’ la passione della gente e influiscono sul calcio. Negli anni ‘80 era tutto diverso».
Ad esempio?
«L’Italia era il commissario tecnico, Enzo Bearzot, il blocco Juve, poi altri grandi calciatori. Una squadra di uomini veri. Ci davano tutti per sconfitti, poi ricordiamo ancora oggi quello che è successo».
Quell’Italia è stata capace di unire un Paese.
«E’ vero, pure quello deve essere lo scopo della Nazionale. Non a caso, all’epoca, nel nostro gruppo c’era anche un certo Sandro Pertini, il presidente della Repubblica, nostro primo tifoso. Che cosa vuol dire questo? Che l’Italia era il calcio ed era l’intero Paese. Tutti uniti, tutti, al di sopra di ogni genere di campanilismo calcistico e politico».
La sua generazione è cresciuta senza sapere che l’Italia non avrebbe giocato un Mondiale.
«Questo non è facile da accettare. Dopo Italia-Svezia, mi squilla il telefono, è Brunetto, mio nipote. Mi chiede: “Nonno, ora come facciamo, che partite vedremo? Ma perché non ha giocato Insigne?”. Non sapevo cosa rispondere. Ha ragione Buffon, il primo pensiero, dopo la sconfitta, deve finire proprio ai bambini, ai quali viene tolto un sogno. Si è persa una possibilità di vivere un mese tutti uniti, insieme verso un obiettivo».
Lei che non è più un bambino, come ha vissuto l’eliminazione?
«Mi è uscita la lacrimuccia… Mi dispiaceva vedere Buffon in quelle condizioni. C’erano le premesse per fare bene, invece siamo in un momentaccio».
Il nostro calcio è ai minimi storici.
«Bisogna ripartire. Credere nei giovani, limitare gli stranieri. E inventarci qualcosa per riaccendere la passione. Come ai miei tempi».
fonte: Il Messaggero