Danilo Pierini, collaboratore di Eusebio Di Francesco, è il protagonista dell’As Roma Match Program in vista della sfida di domani contro il Sassuolo:
Come nasce la vostra collaborazione?
“La collaborazione tra noi nasce in un pomeriggio estivo, non ricordo il luogo, sono sincero. Avevo deciso di dare le dimissioni dall’incarico di allenatore del Val di Sangro, stavamo svolgendo il pre-campionato e non ero soddisfatto di quello che stava accadendo. Sono andato al campo per incontrare il Presidente Pellegrini e invece ho trovato seduto in panchina Eusebio Di Francesco che mi aspettava. Mi sono messo a parlare con lui, e siamo ripartiti insieme. Da quel momento è diventato il mio direttore sportivo. Più avanti venni esonerato ed Eusebio decise di dare le dimissioni insieme a me perché non condivideva la scelta della società”.
Di che anno parliamo?
“Era il 2007, il Val di Sangro militava in Lega Pro, parliamo di una società sportiva che non ha un vero e proprio paese di riferimento, Val di Sangro è una strada. Era una situazione particolare, ma c’erano le condizioni per lavorare bene. Quella stagione la società decise di investire sui giovani per avere i soldi dalla Lega, era una situazione molto vicino all’autogestione. Con Eusebio abbiamo iniziato un percorso che nella circostanza specifica non partì bene, ma ponemmo le basi per il futuro”.
Quindi il mister diede le dimissioni perché non era d’accordo con il suo esonero…
“Sì, io avevo già dato le dimissioni, non accettate, quattro giornate prima. Eusebio agì in maniera veloce e spontanea, proprio nel momento in cui venni esonerato, dopo l’ultima partita contro la prima in classifica, la Valle del Giovenco. Tra l’altro quella fu la nostra gara più bella. Ma come è giusto che sia venne preso in considerazione il risultato. Lui non le ha accettate, è venuto a casa mia e mi ha comunicato che aveva rassegnato le dimissioni. Da lì è nata l’amicizia. E la stima”.
Come era Di Francesco direttore sportivo?
“In quell’occasione gli dissi di non fare il ds, ma l’allenatore”.
Quindi intraprese la carriera di allenatore grazie alla sua spinta?
“No, non sono stato io a spingerlo. Ma non era portato per quel ruolo. Lui doveva fare l’allenatore”.
Da quel momento avete fatto altre esperienze insieme…
“L’anno successivo lui andò ad allenare il Lanciano. Io ero fermo e mi chiese di andare a vedere per lui le partite e così cominciai a seguirlo… Dopo ogni partita gli portavo la relazione sull’avversario. Eusebio poi fu esonerato e se non ricordo male andò a fare il corso da allenatore a Coverciano”.
Poi?
“Lui andò al settore giovanile del Pescara. ma io decisi di non seguirlo. Venivo da quindici anni di settore giovanile mi avrebbe fatto molto piacere, ma non volevo mettere nessuno in difficoltà e rimasi a casa. Fino a quando una mattina mi chiamò perché avevano esonerato Cuccureddu in Serie C e lui avrebbe preso il suo posto. Andai anche lì a vedere le partite per lui e a fine stagione vincemmo il campionato. L’anno dopo mi offrirono, oltre alla visione delle partite, anche di collaborarci sul campo. E da lì è stato tutto un susseguirsi di situazioni. Lecce e poi Sassuolo”.
Cosa ricorda dell’esperienza a Lecce?
“È stata preparatoria per quello che sarebbe avvenuto dopo”.
E Sassuolo poi?
“Il completamento di un percorso molto graduale; siamo arrivati in una società di piccole dimensioni ma importantissima. Per pensiero, per appartenenza. Una società alla quale mi sono affezionato subito. E sono ancora molto affezionato. Ho visto le ultime due partite e hanno fatto sei punti. Dicono che mi vogliono anche alla terza! Sassuolo è stata una esperienza fantastica, sia dal punto di vista emotivo sia da quello tecnico. A Sassuolo Eusebio è riuscito a costruire delle cose che prima, a Lecce e a Pescara, si intravedevano appena. Non erano così marcate come lo sono ora”.
E qui a Roma?
“Le idee del mister si vedono. Certo, a Sassuolo venivano messe in pratica con più continuità. Ma era un altro campionato, quello di Serie B, come quello in A, con giocatori giovani che erano totalmente inclini a replicare determinate situazione. Qui alla Roma la rosa è formata da campioni, siamo noi che dobbiamo metterli nelle migliori condizioni per dare il meglio di se stessi. Il percorso che abbiamo intrapreso è quello giusto, ma è ovvio che sia graduale. Sarebbe bello vedere giocare la Roma sempre nella stessa maniera, ma ci sono delle situazioni che non sempre si possono sviluppare con continuità. Cosa che invece accadeva l’anno di B al Sassuolo. Ovviamente non si possono paragonare le due realtà”.
A cosa deve mirare la Roma?
“La Roma deve puntare al massimo. Quindi a vincere il campionato. Bisogna crederci. Dobbiamo essere un tutt’uno, anche con la gente. Uniamoci e fissiamo un unico scopo. Cosa dice l’inno? Tu sei nata grande e grande hai da resta’!”.
Che significa per lei indossare quella tuta con lo stemma della Roma sul petto?
“Mi riempie di orgoglio, per me è il massimo. Non so cosa mi riserverà il futuro, nel giro di dieci anni mi si è stravolta la vita, in positivo chiaramente. Vincere qui credo che sarebbe unico. Mi piacerebbe provare quella sensazione”.
Qual è il pregio migliore di Di Francesco?
“Esula dall’aspetto tecnico tattico, è una persona che ha dei valori. Per me chi ha dei valori è sopra tutti gli altri. Tutte le altre cose sono secondarie…”.
Tornando al Sassuolo, nostro prossimo avversario di campionato, cosa avvenne in quelle cinque giornate in cui Di Francesco venne esonerato e poi richiamato?
“Quel periodo in cui tutti noi siamo stati esonerati è stata l’occasione per Eusebio per raccogliere le idee, alla fine è riuscito a trovare la quadra. Quando mi chiamò per dirmi che saremmo tornati ad allenare, mi chiese se fossi pronto. Io gli girai la domanda e lui mi rispose affermativamente. Eusebio dopo quell’esperienza è tornato in maniera diversa, come persona e non solo. Da lì c’è stato il cambio di passo”.
Nella Roma ognuno ha un ruolo ben preciso nello staff tecnico di Di Francesco. Quali sono i suoi compiti principali?
“Io sono con lui sul campo durante gli allenamenti. In alcune situazioni lavoro con i giocatori su un aspetto tecnico particolare, magari con i più giovani. Poi continuo ad andare a visionare gli avversari. Mi divido tra gli allenamenti e lo studio degli avversari, anche se quest’ultimo non è il mio compito specifico”.
Lei ha parlato di percorso intrapreso. A che punto siamo?
“Il nostro è un percorso naturale. In allenamento si provano e riprovano alcune giocate alla ricerca della perfezione. In partita è normale che in alcuni casi riescano con meno frequenza, anche perché c’è l’avversario. Noi siamo la Roma e dobbiamo dimostrare di essere più forti. In questo senso la Roma deve fare ancora un piccolo balzo in avanti che le permetterà di essere grande”.
In questo percorso, quella con la Juventus che gara è stata?
“Quella partita ci ha detto che la Juventus è sempre la stessa, può avere momenti di crisi ma ne esce sempre. Noi abbiamo confermato quello che siamo: una squadra forte, a cui è mancato il gol. Se fosse arrivato avremmo parlato di altro. Ma il pareggio non avrebbe cambiato il nostro programma di lavoro. Sarebbe stato comunque un nuovo punto di partenza, per andare oltre. La consapevolezza di potercela fare c’è. E deve rimanere”.
Sono emersi più gli aspetti positivi o quelli negativi dalla gara contro i bianconeri?
“Per me quelli positivi. È un grosso dispiacere perdere 1-0, ma resta la sensazione che la Roma ce la può fare”.
Preparando la relazione sul Sassuolo, che partita si aspetta?
“Il Sassuolo da quando ha cambiato allenatore è un’altra squadra, sono tornati al 4-3-3. È una squadra che ha ripreso fiducia in se stessa, sa sacrificarsi, magari non sviluppa la manovra come prima, ha nuovi obiettivi, è diventata essenziale, più semplice. Lavorano tutti per il risultato”.
Quali sono i pericoli a suo parere della sfida di sabato prossimo allo stadio Olimpico?
“Il Sassuolo va preso in considerazione come gruppo, non singolarmente. Sono quasi sempre gli stessi da quattro anni. Hanno la consapevolezza di essere all’altezza della situazione e ci sono giocatori abituati alla serie A, come Berardi, Politano, Missiroli, Acerbi, Consigli. Sono più esperti e supportano i giovani”.
Cosa deve fare la Roma?
“La Roma deve vincere. Se l’obiettivo è vincere il campionato, si deve vincere la partita”.
Il 2017 che si sta chiudendo è stato sicuramente un anno importante, dal punto di vista professionale, per tutti voi dello staff. Cosa chiede al 2018?
“Al 2018 chiedo il completamento del lavoro. Manca poco a questa Roma per essere costante: se l’anno nuovo ci desse quel qualcosina che manca, l’obiettivo di cui ho parlato potrebbe avverarsi”.
Fonte: As Roma Match Program