Un volto enorme, altero e giovane segue le partite della Spal dalla curva Ovest. Il ragazzo che ne era possessore fu ammazzato dai poliziotti, a Ferrara, una notte di settembre del 2005. Ma il bandierone con il viso di Federico Aldrovandi non può entrare negli stadi. Secondo il regolamento, mostrare il suo volto corrisponde a un «comportamento provocatorio nei confronti delle forze dell’ordine». E questa «coreografia non autorizzata» è costata multe ai tifosi della Spal (il primo episodio all’Olimpico a inizio dicembre, quando la Digos impedì l’ingresso in curva della bandiera), del Parma, dell’Arezzo, del Siena, del Prato, del Torino. Sabato scorso, durante Samp-Spal, gli ultrà blucerchiati hanno scritto: «Per qualcuno una provocazione, per noi un ragazzo». Il padre di Federico, Lino Aldrovandi, una spiegazione a quanto sta accadendo non riesce a darsela. E usa un aggettivo. «Inaccettabile». Ha scritto la Digos in un suo dispositivo contro un tifoso del Torino: “Fogli riportanti il volto di una persona”.
«Questo linguaggio, questo burocratese ottuso, questa cieca persecuzione di un ricordo interrompe quel percorso di comprensione reciproca e didialogo che dal 2012 avevamo intrapreso con le forze dell’ordine, noi che abbiamo perso un figlio di diciott’anni a calci, pugni e manganellate».
Cosa rappresenta per lei l’immagine di Federico in uno stadio di calcio?
«I ragazzi della Spal e delle altre tifoserie introducono negli stadi assieme al volto di Federico un messaggio di pace e di fratellanza. Non c’è violenza, non c’è odio, non c’è alcun sentimento negativo. Solo una carezza a un ragazzo che non c’è più, che amava la sua città e la squadra che la rappresenta. Niente di diverso da quell’amore che i supporter della Ovest esprimono intervenendo a ogni iniziativa che portiamo avanti con la nostra associazione per tenere viva la memoria di nostro figlio».
Cosa ha provato la prima volta che ha visto la bandiera col volto di suo figlio al Mazza?
«Un senso di bellezza e di allegria. Era la partita contro il Cagliari, ho pianto a lungo e ho ricordato certe domeniche, io che torno a casa e Federico che mi chiede “papà, cosa ha fatto la Spal?”. I miei ragazzi, li chiamo così i tifosi biancoazzurri, sono tutti miei figli, sono come Federico, come sarebbe oggi e com’era allora Federico».
Quella bandiera, secondo alcuni, rappresenterebbe una sfida alle istituzioni e alle forze dell’ordine.
«Ma è solo un semplice drappo nel vento. Non vedo dove sia il male, ce n’è così tanto in giro e negli stadi spesso entra davvero di tutto. Salviamo quel che è bello e importante davvero».
Gli ultrà di tutta Italia si stanno unendo in questa battaglia. Vi sentite meno soli?
«Quel che sta accadendo mi sta facendo soffrire una volta di più, come se quanto già trascorso non fosse abbastanza, e ogni volta, ogni divieto, ogni multa è una coltellata nel cuore. Ma ci sentiamo difesi e aiutati da una comunità coraggiosa e sempre più grande e trasversale, da tanti ragazzi che ci vogliono bene e che vogliono con noi portare avanti il messaggio di uno sport con un cuore, con sentimenti, capace di commuovere e di insegnare qualcosa».
Cos’è per lei il tifo?
«Nella stragrande maggioranza dei casi qualcosa di sano, di antico e di vitale».
Però c’è tanta violenza nel calcio.
«Ci sono individui e alcuni di loro sbagliano. L’errore più grande è parlare dei “tifosi” come di un corpo unico, quando invece la responsabilità, per il nostro codice penale, è sempre individuale. Ricordiamocelo. E non facciamo processi sommari, né processi alle intenzioni. Non dimentichiamo che parliamo di ragazzi che spesso provengono dalle periferie e che vedono nella partita un momento di uguaglianza e di aggregazione. I colori biancoazzurri riuniscono Ferrara come non fa nient’altro».
Ha ricevuto messaggi di solidarietà?
«Solo da tifosi. Non dalla Spal, non dalle istituzioni sportive. Forse perché nessuno ha capito da che parte stare. E questo è l’altro problema vero: pensare che il volto di Federico possa dividere anziché unire».
Negli stadi entra di tutto. Non vedo dove sia il male in quella bandiera: non c’è odio. Ogni multa della Figc è una coltellata al cuore Il problema è pensare che il volto di Federico divida. Quando ho visto la bandiera, ho pianto a lungo. Chiedeva: “Papà, che ha fatto la Spal?”.
Fonte: La Repubblica