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Gazzetta dello Sport Gli arbitri e la Var, ancora tanti dubbi

“Il futuro non è un posto migliore, ma solo un posto diverso”, scriveva William Least HeatMoon in «Strade blu», un libro di viaggi e di emozioni, un po’ come la Var alla quale abbiamo chiesto di portarci non solo nel futuro, ma addirittura nel progresso. Avanti, naturalmente. Nonostante tutto e nonostante molti: errori, luoghi comuni, cospiratori, scettici.

Il ruolo e la figura dell’arbitro sono sotto pressione ovunque. La necessità  – scrive la Gazzetta dello Sport – di armonizzare, in materia di regole, la lettura con l’interpretazione rimane in balia di nodi che la video assistenza fatica a tagliare. Prendete il prologo del rigore dato­ e poi cancellato a Firenze, venerdì scorso. L’addetto alla Var, Michael Fabbri, ha dovuto controllare, in un tempo ragionevolmente breve, e comunque superiore ai tre minuti, 1) se Marco Benassi si trovasse in posizione di fuorigioco; 2) se la pressione del Cholito Simeone su Alex Sandro fosse stata fallosa; 3) se, per questo, anche per questo o al di là di questo, il tocco del terzino fosse stato forzato, casuale o volontario. Che poi Marco Guida, in qualità di arbitro centrale, abbia sbagliato a non dare un’occhiata allo schermo, questo è un dettaglio che ne racconta il pilatismo congenito senza disinnescare l’ingorgo di trappole nascoste dentro a scelte così complicate e a norme così tortuose, carne fresca per le moviole dei Bar sport. Ma ancora più clamoroso è stato, a mio avviso, il concetto che il giudice sportivo Gerardo Mastrandrea spese per evitare due turni di squalifica a Patrick Cutrone. In Milan­Lazio 2-­1, l’attaccante aveva spaccato l’equilibrio di gomito e non di testa. Non se ne accorse nessuno: né i laziali né Massimiliano Irrati. Passò una buona mezz’ora prima che i filmati smascherassero il gesto. Deferito dal procuratore federale, Cutrone venne prosciolto dall’accusa di atto anti­sportivo perché «non c’è certezza della volontarietà». Volontarietà: la parola cardine su cui poggia il castello del mani­comio.

E qui si arriva al paradosso dei paradossi: ammesso che Irrati avesse colto e definito «involontario» il movimento di Cutrone, in base al dettato dei sacri testi avrebbe dovuto convalidare il gol. Non importa se segnato di gomito. Così come si assolve il difensore che, involontariamente, smorza di mano un tiro o un cross. Ma si può convalidare un gol realizzato con il braccio? Si può, cioè, ripudiare e capovolgere lo spirito del calcio che gli inglesi fondarono sui piedi per separarlo dal rugby? La legge non scritta dice di no. Attenzione, però: non scritta. Per tacere del «doppio» Paolo Valeri: il 30 gennaio, in Atalanta-Juventus di Coppa Italia, braccio di Medhi Benatia e rigore via­ Var. L’11 febbraio, in Inter-­Bologna di campionato, braccio di Danilo D’Ambrosio e niente rigore via Var. Eppure: stesso arbitro, stesso episodio, stessa distanza. Domanda per Nicola Rizzoli: signor designatore, qual è stata la decisione corretta?

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