Intervista a Leandro Castan, difensore brasiliano di proprietà Roma ma in prestito attualmente al Cagliari:
Meglio Brasile o Italia?
«Per giocare l’Italia. Ma ho comprato casa a Roma dove vivono mia moglie e i miei tre figli. Ho la doppia cittadinanza».
Cosa è successo alla Samp? Toccata e fuga e via a Torino.
«Mi chiamò Montella nell’estate del 2016, ma poi andò al Milan. Arrivò Giampaolo e capii che il suo non era il mio stile di gioco. A me piace marcare a uomo, fare i contrasti, le scivolate. Mi chiamò Sinisa MIhajlovic e così andai al Torino. Dove i primi sei mesi sono stati ottimi, anche perché ne vincemmo 9 su 14, poi però mi sono fatto male al flessore».
E quindi il ritorno alla Roma: più amore o più odio verso la squadra in cui ha fatto meglio in Italia in coppia con Benatia e Rudi Garcia nel torneo 2013-2014?
«Quella fu una grande annata. Ma non dimentico di aver vinto la Libertadores con il Corinthians nel 2011-2012 contro il Boca Juniors, con Maradona in tribuna. Da brividi. A Roma ho avuto un piccolo problema con Spalletti, ma ormai è alle spalle. Ora sono qui».
La scelta di Cagliari?
«Ho ripreso a lavorare alla Roma per un paio di mesi per tornare al top, non pensavo di muovermi, ma a gennaio Lopez, Giulini e il d.s. Rossi mi hanno convinto. Diego Lopez posso solo ringraziarlo per quello che ha fatto per me e per quanto e come si è fidato di me. E’ emozionante giocare per la salvezza, mi sento bene e cerco di dare il mio contributo».
Poi ha trovato alcuni brasiliani ed è stato più facile…
«Mi aiutano molto, sono contento di loro e di quel che mi hanno dato».
Purtroppo c’è stato questo pasticcio di Joao Pedro, positivo al doping.
«Siamo tutti vicini a Joao. Io avevo legato con lui da subito, ma anche con gli altri. In questo bel gruppo è stato facile inserirsi».
Il guaio di JP dopo la tragedia di Davide Astori che lei ha incrociato alla Roma.
«Davide mi è stato vicino nel momento più difficile. Stavo male, lui prese il mio posto in difesa. Mi scriveva sempre invitandomi a tornare al più presto in campo».
A proposito, lei nel 2014 fu colpito dal male: cavernoma al cervello. Tremendo. Ora è tutto a posto. Che cosa le ha lasciato la malattia?
«Una sola parola: superare. Vomitavo, persi 15 kg, la forza è tutta in mia moglie Bruna che mi ha dato tutto, una grande donna, starò con lei fino alla fine della mia vita. Un giorno racconterò tutto ai miei figli che allora erano troppo piccoli per capire».
Lei è atleta di Cristo, che cosa significa?
«Che credo nella Bibbia. A Roma c’è un piccolo gruppo che fa capo all’ex calciatore Rodrigo che è un pastore. Qualche volta ci siamo trovati a Milano. Ho incontrato anche Nicola Legrottaglie».
Torniamo al calcio: perché la Roma non vince?
«Paga la pressione (un po’ la sente anche il Cagliari) di vincere e giocare all’Olimpico non è facile».
Lei qua è rinato. Ma è in prestito secco e il suo contratto è alto. Resterebbe al Cagliari?
«A me piace giocare, mi piacerebbe restare, ma il presidente deve avere la voglia di comprarmi…».
Fonte: Gazzetta dello Sport