(T.Cagnucci) – Non credo che si debba celebrare l’addio di un calciatore, tanto più se è stato quello più forte della storia della tua squadra. In questo senso il 28 maggio dell’anno scorso è meglio lasciarlo all’anno scorso. Il 28 maggio del 2017, il giorno in cui Francesco Totti ha anche detto addio al calcio giocato è paradossalmente un ritorno, anzi, è un ritorno e insieme un inizio. Quel giorno la Roma è tornata a essere una cosa che da tempo non celebravamo così e così tutti insieme: un’emozione. Una cosa pura. Forte. Sensata. Netta. Profonda. Folle. Sessantamila persone che piangono così e così tutti insieme dove le trovate? Non le trovate.
La risposta è solo allo stadio a vedere la Roma. Il 28 maggio è stato quello: l’emozione della Roma che i romanisti non provavano da tanto tempo. L’Olimpico un catino ribollente umanità. Spudorata, quindi coraggiosa, quindi romanista. E Totti nel suo discorso del Re nudo in quel “ho paura” (che per me può essere il manifesto laico e umanista uguale e contrario al “non abbiate paura” del papa polacco) ha veramente incarnato il sentimento romanista che è quello di averlo il sentimento. La scelta di essere della Roma è quella di sposare un mondo fatto per lo più di sensazioni, sentimenti, colori, odori e ricordi di questa città piena di casini e contraddizioni, sempre in bilico fra San Pietro e sampietrini, ma sempre con Falcao in mezzo, però custode di una profondissima bellezza e di una sconcertante veracità. La scelta di essere della Roma è quella di mettere il cuore davanti a tutto. Il lupetto e non lo scudetto sulla maglia il 30 maggio del 1984. La Roma e non il Real Madrid. La Roma e non la Juventus. La Roma e la Roma, e poi la Roma. Inizio e fine, core nostro.
Quel pomeriggio (verso sera) ci siamo ritrovati, non più romanisti, non più umani, ci siamo ritrovati e basta. Allo stesso posto, con le stesse persone, con la stessa emozione. Ah eccola la Roma! Ah ecco ‘sta cazzo de Roma che vor dì! Che non è solo (o per niente) una discussione fra sensiani e pallottiani, fra secondopostisti e vincitoriatuttiicosti, fra tottiani e spallettiani. Perché Totti è stato persino più grande di se stesso quel giorno: è stato noi. E il mondo c’ha guardato. Addirittura ce ne siamo vantati: avete visto a Roma che vor dì il pallone? che vor dì la Roma? L’avete visto eh quello che voi non proverete mai? È stato così. Un orgoglio smisurato e un’emozione più grande. Quel giorno ha educato i grandi al coraggio del sentimento: Iniesta a piedi nudi in mezzo nella notte del Camp Nou e Torres che singhiozza appena nomina il nonno non erano immaginabili prima del 28 maggio. Così come che la storia di Totti potesse finire.