(M. E. Vincenzi) – Che volesse parlare era chiaro: era stato lui a chiedere di essere interrogato. E ha parlato parecchio, Luca Parnasi, il costruttore arrestato due settimane fa per l’inchiesta sullo stadio della Roma. Il suo interrogatorio, iniziato mercoledì pomeriggio, è ripreso ieri mattina alle 9 per finire alle 15 in una saletta del carcere di Rebibbia. Undici ore in totale nelle quali, davanti ai pm, l’impreditore 41enne considerato dagli inquirenti il «dominus» e ideatore del sistema corruttivo ha fatto nomi, chiarito circostanze, raccontato la sua verità. E dato una serie di spunti investigativi ai quali ora si dovrà trovare riscontro.
Ammette, smentisce, precisa. Parnasi, che si era avvalso della facoltà di non rispondere davanti al gip, replica invece a tutte le domande dei pubblici ministeri. Partendo proprio dal rapporto con l’ex presidente di Acea, Luca Lanzalone, uomo legato alla giunta Cinquestelle della quale era referente per il progetto dello tempio del calcio giallorosso. « Me lo presentò la sindaca Virginia Raggi — ha detto Parnasi — durante una riunione ufficiale nel gennaio del 2017. Mi dissero che era lui il referente del Campidoglio per lo stadio. E da allora ho sempre parlato con lui. Anche per altri progetti».
Una versione che conferma quella dell’impianto accusatorio, peraltro già ribadita anche dai testimoni illustri che si sono avvicendati in procura nei giorni scorsi tra i quali la sindaca Raggi, il dg del Comune Franco Giampoaoletti e quello della As Roma Mauro Baldissoni, che indica l’ex presidente Acea come uomo dell’amministrazione e, quindi, pubblico ufficiale, passibile dell’accusa di corruzione.
Ed è proprio sull’avvocato genovese che il costruttore fa una prima, parziale, ammissione: «Mi fidavo di lui, lo ritenevo un professionista serio. Ma le consulenze che ho fatto avere al suo studio servivano anche a suggellare questo rapporto di amicizia e fiducia » . Dal quale, secondo l’accusa del procuratore aggiunto Paolo Ielo e del pm Barbara Zuin, Parnasi avrebbe ottenuto più di un beneficio.
Da Lanzalone al resto. Parnasi ha capito che per salvare le sue società deve collaborare. E lo ha fatto. Mettendo a verbale anche i finanziamenti alla politica. Quelli che gli facevano dire ai suoi collaboratori: « Io pago tutti, lo ho sempre fatto » . Il « metodo anni Ottanta» citato nell’ordinanza che li ha messi tutti in carcere.
E allora via con la lista dei partiti e delle fondazioni foraggiate dal costruttore, sulle quali sonoin corso accertamenti dei carabinieri del nucleo investigativo. Tra questi anche Eyu del Pd e Più Voci, vicina alla Lega. Denaro che, però, spiega l’immobiliarista assistito dagli avvocati Emilio Ricci e Giorgio Tamburrino, in molti casi era iscritto a bilancio. O che, quando non lo era, in ogni caso non era vincolato all’ottenimento di favori o benevolenza. Una versione che serve a scongiurare l’accusa d corruzione.
Il costruttore fa anche nomi di singoli esponenti politici ai quali ha fatto piaceri di vario genere, che fossero consulenze o assunzioni di figli e parenti. Tra questi anche l’ex assessore della giunta Zingaretti Michele Civita; il capogruppo grillino in Campidoglio Paolo Ferrara; quello di Forza Italia in Comune Davide Bordoni; e il vicepresidente del consiglio regionale (FI) Adriano Palozzi. Parnasi descrive anche i ruoli e le competenze dei suoi collaboratori (finiti in carcere con lui) e chiarisce il meccanismo societario del suo gruppo. Che comprende anche le società Sogepa e Fingepa, intestate a sua madre e usate per pagare « quei dieci tavoli » che, secondo chi indaga, sono elettorali.
Ce ne è abbastanza per poter chiudere il verbale. Gli inquirenti dovranno lavorare su quel fiume di parole. Lui potrà chiedere, come sembrano intenzionati a fare i suoi difensori, la scarcerazione. E la procura, a questo punto, potrebbe anche dare parere favorevole.
Fonte: La Repubblica