Nicandro Vizoco, preparatore atletico della Roma, ha fatto il punto sul lavoro della rosa giallorossa tra ritiro casalingo a Trigoria e la tournée Usa appena conclusa e sulla condizione fisica dei giocatori. Queste le sue dichiarazioni:
“A capo del nostro lavoro c’è sempre il mister, noi siamo collaboratori che devono indirizzare i suoi desideri verso un obiettivo comune. Ognuno lavora sulle proprie competenze, ma se a lui non piace un tipo di programma si cambia. Il responsabile è sempre lui, in tutte le scelte che si fanno”.
Quest’anno il ritiro si è svolto a Trigoria: quali sono state le differenze rispetto alla scorsa stagione?
“Dal punto di vista logistico stare a casa nostra ci ha consentito di migliorare la qualità del lavoro. A Pinzolo si sta molto bene, ma non trovandoti a casa tua ti devi adattare per poter ottimizzare i programmi. A Roma hai tutte le comodità, dal campo alla cucina. A Trigoria siamo riusciti a mettere tutto in pratica nel migliore dei modi, come siamo abituati a fare nell’arco della stagione. Da un punto di vista della preparazione, poter avere quasi tutta la rosa a disposizione dai primi giorni è stato un vantaggio innegabile. Lo scorso anno iniziammo con una rosa molto ridotta e poi ci raggiunsero i nazionali in America per giocare immediatamente le partite del torneo: i volumi di lavoro furono quindi ridotti. Quest’anno, invece, abbiamo iniziato a lavorare dall’inizio della stagione con una rosa ampia. Le differenze si sono rivelate sostanziali e riteniamo ci possano portare diversi vantaggi”.
Il frutto del lavoro già si è visto, quindi, dopo le due settimane di Trigoria?
“Sicuramente abbiamo il vantaggio di conoscere meglio la squadra, aspetto che ti aiuta non poco nel nostro lavoro: non si parte da zero su concetti fisici, ma si dà continuità a quanto fatto lo scorso anno. I frutti si vedranno nell’arco della stagione, ma le risposte dei ragazzi in queste prime settimane sono estremamente positive sia come percezione fisica, sia per quanto riguarda l’adattamento al lavoro”.
Quanto è stata utile l’esperienza della scorsa stagione per riuscire a preparare la tournée negli USA?
“Molto: non ci siamo trovati davanti a situazioni inaspettate e siamo riusciti a prevenire eventuali inconvenienti, che sono normali quando viaggi così tanto o vivi situazioni climatiche diverse dalle nostre. Avendo già vissuto questa esperienza, avevamo sempre un piano b programmato”.
A che livello di condizione sono i ragazzi?
“Ci riteniamo estremamente soddisfatti. Due settimane a Trigoria sono stati il primo mattone della nostra casa. A San Diego abbiamo avuto le condizioni climatiche che ci hanno consentito di lavorare in estrema serenità senza tropo inconvenienti. Lo stesso a Boston, che conoscevamo già. Abbiamo continuato molto bene il lavoro iniziato a Roma”.
Come si fa a stimolare ogni giorno i calciatori a un lavoro che non prevede il pallone tra i piedi?
“Sicuramente i ragazzi si divertono molto di più con la palla (ride, ndr). Quello che vorrei sottolineare è la grandissima disponibilità al sacrificio che ho notato in questa stagione: ho notato una crescita nella consapevolezza durante delle modalità di lavoro sicuramente meno ludiche rispetto a quelle che prevedono il pallone. Questo è stato senza dubbio un grande vantaggio. All’interno della palestra di San Diego diceva così: “La fatica che faccio oggi mi consentirà di raccogliere i frutti domani, chi non vuole faticare oggi non godrà dei benefici domani”. L’obiettivo è proprio quello: capire che quello che facciamo oggi ci servirà per conseguire i nostri obiettivi futuri. I ragazzi sembrano ben predisposti a questo”.
Come si stanno adattando i nuovi ai metodi di lavoro che gli altri già conoscono?
“Con grande spirito di adattamento, c’è curiosità: molti vengono da contesti diversi e noto entusiasmo per le novità che stanno vivendo. Molti sono giovani, entusiasti di farsi valere e conoscere sotto tutti i punti di vista. Si sono dimostrati vogliosi e motivati nell’approcciarsi alle attività fisiche che noi definiamo a “secco”. Un aspetto importante, poi, è il ruolo dei senatori: sono un grande stimolo e un traino per i giovani, tutti ragazzi dai quali c’è tanto da imparare”.
Come si stanno integrando i ragazzi che hanno disputato il Mondiale?
“Per loro sfortuna e nostra fortuna ne abbiamo avuti pochi. Gli ultimi aggregati, oltre a Olsen, sono stati Kolarov o Fazio. Con loro cerchiamo di fare un percorso graduale di rinserimento, sapendo che devono recuperare il lavoro lasciato per strada, ma non bisogna avere fretta e accelerare una crescita fisica in modo troppo repentino. Si rischierebbe “un’indigestione”: come se una persona mangiasse troppo tutto insieme. Devono riallinearsi agli altri senza troppa fretta”.
Come cambia la preparazione di un portiere rispetto a quella di un calciatore?
“Il gesto fisico del portiere è diverso da quello degli altri calciatori, c’è più un lavoro di muscolazione in palestra che si basa sull’esasperazione del movimento che effettuano solitamente. Sul campo, poi, Marco Savorani ha una grande cultura del lavoro e dedica molto tempo alla crescita dei portieri e il nostro responsabile della forza, Maurizio Franchini, si coordina con lui per tutto il lavoro a secco”.
Quale sarà il programma una volta tornati a Roma?
“Dare continuità al programma iniziato. Abbiamo posto delle basi durante la preparazione, che andranno valorizzate. Non bisogna pensare che il lavoro fatto nel precampionato resti fine a se stesso e che il calciatore raggiunga la condizione semplicemente iniziando a giocare. Ovviamente i carichi saranno diversi, ci sarà la necessità di enfatizzare il recupero quando i ritmi delle partite saranno costanti, oppure bisognerà allenare giocatori meno impegnati per dargli la possibilità di offrire prestazioni fisiche all’altezza”.
Fonte: asroma.com