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De Rossi-Nzonzi, viaggio al centro dell’equivoco

De Rossi e Sergio Ramos

(A. Angeloni) – La ricchezza di una squadra può essere: Steven Nzonzi alternativa di Daniele De Rossi, o viceversa. Perché quando uno è stanco, gioca l’altro, perché contro una certa squadra è meglio il francese, mentre con un’altra si lascia preferire Daniele. Dopo Madrid abbiamo intuito una cosa: i due, insieme, stentano. Stenta soprattutto Steven, perché non ha il passo della mezzala. Ha la presenza, il fisico ma lì diventa un polpo senza il condimento; Daniele invece si esalta nelle difficoltà, scivola, lotta, combatte, organizza poco, verticalizza quasi mai, non essendo un regista.

I PASSIVI – La Roma torna statica, piantata, passiva. Mentre là in mezzo ci vogliono due intermedi di gamba, che sappiano accompagnare il primo pressing (degli attaccanti, a Madrid passivi pure loro nelle aggressioni). Nzonzi e De Rossi possono essere coppia in un 4-2-3-1, forse. Come lo erano Pizarro e De Rossi, con quest’ultimo nel pieno della sua gioventù e della sua esplosività, purtroppo portata via dagli anni. Da una questione tattica a un’altra. Che coinvolge il giovane Kluivert, ma non perché è andato in tribuna, ma per i motivi per cui ci è finito: «la tribunetta che fa bene a qualcuno» (citando Di Francesco) diventa un problema. Il nuovo che non avanza lo è sempre (un problema), perché significa non dare forza agli acquisti (non solo i ragazzi, ma il discorso vale anche per Pastore, tornato in gruppo). Come potrebbe diventare un boomerang il messaggio dato dal tecnico con Zaniolo titolare a Madrid. Coric e Luca Pellegrini altri personaggi in cerca di autore: zero minuti fino a qui. Magari il messaggio è arrivato anche a loro. Kolarov è in difficoltà, possibile che Santon sia meglio di Pellegrini? Possibile. Anche Coric, perché non gioca mai mai?

LO ZOCCOLO MORBIDO – Forse un giorno sapremo che non è pronto nemmeno lui, così come Kluivert (citando ancora Di Francesco). Ma qui il problema non sono solo i giovani, ma pure gli anziani, che appaiono stanchi (Kolarov, Fazio), intristiti (Dzeko) e ancora lontani dai vecchi standard (Perotti, Manolas). Olsen è la sorpresa. Il portiere che para tanto: non un buon segnale.

Fonte: Il Messaggero

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