(F. Merlo) – Finalmente alle 9.30 entra il gladiatore cocco di mamma, ultimo bene-rifugio di Roma, che è si bella e perduta come la patria del Nabucco. Entra con quel suo corpo morbido da atleta pigro, camicia bianca e cravatta nera, e l’anfiteatro del Colosseo, che pure è l’archetipo di tutti gli stadi del mondo, esulta si “auguri, capitano” – ma con il sussiego floscio e finto-inglese della nomenclatura sul Tevere, quella dei vip e dei semivip in tiro, baciamano e tacchi alti, sono i “Caio Gregorio / fusti der pretorio”, ma con il Rolex al posto dei “ddu metri de torace”. La parola magica e appunto “magica”: “magica Roma”, “magica luna”, “magico tutto”. La declama il presentatore Alvin, la scandisce al buio il dicitore, il roco Luca Ward, “cosa vuoi fare della tua vita, Francesco, vuoi una ricchezza fiabesca?”, la rivendica alla luce della luna e delle stelle il direttore della casa editrice, Massimo Turchetta, la mormorano i soliti noti, la mugugnano persino i laziali: “è magico er pupone”, ed “è magico il simbolo della classicità che abbiamo concesso a un simbolo
della neo-classicità” dice Alfonsina Russo, la direttrice del Colosseo, che era stato già concesso a Venditti con il kitsch del suo pianoforte bianco, a Paul McCartney che si esibì fumando (e i fan si disputarono la cicca) e a Roberto Bolle con le sue danze da diavolo buono. Mai per un libro, che dunque per la prima volta versa il suo sangue nell’arena. E
Turchetta di Rizzoli spinge la magia sino al miracolo: “a volte anche i libri compiono miracoli”, come il Padre Pio di Conte, come Di Maio, che abolirà la povertà. Abete e Veltroni, Raggi in nero cinque stelle, e Zingaretti in camicia aperta, più fratello di Montalbano che
“forse-segretario”, stanno solenni nelle prime file. La Raggi confessa di non sapere come si danno i calci al pallone, “neppure io”, dice Totti. E ogni tanto il doppiatore italiano di Russell Crowe declama brani alternando i generi della poesia classica, soprattutto l’epica. Dunque l’amicizia con Cassano e la fratellanza di Castore e Polluce, i dioscuri della Roma. Si racconta infatti la storia mitologica del matto che veniva da Bari Vecchia ed era un povero cuore di
mamma smarrito. Perciò fu adottato dalla madre di Francesco e fu la sua stagione migliore perché la bellezza del “tengo famiglia” è il segreto di Totti e dei Totti, e della famiglia
allargata, che stasera occupa un intero settore dell’arena dietro le tre sorelle Blasi, in abito lungo, il modello diciamo così “storico” è il clan di Celentano, il valore riconquistato è quello del mammone, al quale è inutile offrire i sesterzi, fossero pure i dobloni del Real Madrid, per farlo staccare dalla mammella di Maria e dal conforto di Giuseppe. Cassano arriva e distribuisce manate, saluta tutti alla sua maniera: “a bucchina e mammete”. Epico fu pure il rigore mondiale al novantesimo minuto contro l’Australia, un cigno nero direbbe oggi il ministro Savona, lo scandalo dell’imprevedibile. Si parla pure del Totti che sputa e che picchia Balotelli, il San Burino di cuore e pancia. Ma c’è persino la forza dell’intelligenza
che non ti aspetti nella faccia della copertina che a prima vista non somiglia a Totti ma è
bellissima, al punto che l’intero libro diventa pretesto per questa foto del campione con le mascelle serrate che sfida la luce dall’alto, guarda prima di essere guardato, e sembra un ritratto degli anni Trenta, una di quelle facce che mettono soggezione, la faccia di
“mo te faccio er cucchiaio”, che fu la forza risolta in sberleffo nel famoso rigore del 2000 contro l’Olanda, e ora è l’epica che diventa satira. Sfilano De Santis, De Rossi, Lippi e la moglie che perde la scarpa perché il tacco a spillo si infila nel sampietrino, e poi Pradè, Candela, Baldissoni, Ranieri, Materazzi, e ovviamente la signora Sensi, che fu la mamma-squadra. Le librerie sono rimaste aperte di notte, e solo alla Tuscolana sono state vendute 350 copie. I librai hanno distribuito caffè e cornetti caldi alle 3 del mattino: la suburra
in libreria. Leggono Totti come fosse Hegel, l’autobiografia del secolo, “una traiettoria umana” dice Paolo Condò che a Totti ha prestato la lingua e la penna, e più Roma va giù più Totti va su: “libri ne ho letti zero, questo è il primo” dice perché è sempre quello delle barzellette, del finto stupido. Ben più icona, mito e leggenda di Maradona che forse un giorno farà cambiare il nome di Napoli, come scrisse Gianni Mura. Ecco, più radicalmente, Francesco Totti prenderà direttamente il nome di Roma. Peccato che qui stasera non ci sia il popolaccio del pallone, la massa dei mister Hyde, quella che all’Olimpico cambia la personalità e diventa appunto suburra, ma portata al Colosseo sarebbe forse rimasta “compos sui” perché “i monumenti, specie quelli grandi, incutono rispetto anche ai barbari” diceva Leon Battista Alberti. E invece stasera, dentro la magia (ehm ehm) grande grossa e vuota del Colosseo ci sono appunto i soliti trecento invitati di pregio, che si appropriano della sola eccellenza riconosciuta, la rivendicano per riempire il proprio vuoto con la sostanza, entelechiale direbbe Sciascia, del campione. Sembra, quest’arena che fortunatamente l’ex ministro Franceschini non riuscì a pavimentare, come il circolo della caccia, posti ambitissimi, assegnati dal cerimoniale della squadra di calcio e della casa editrice Rizzoli, inventori di un neonato bestseller con anticipazioni succose che forse faranno dimettere Baldini, forse porteranno al duello alla Conrad con Spalletti… È il
marketing delle anteprime, come nei libri di Vespa, o come nel libro di de Bortoli con le famose pagine centellinate su Renzi e sulla Boschi. È marketing anche la coincidenza dei 42 anni. È marketing, nella sua forma nobile, la beneficenza ai bimbi malati del Bambin Gesù. “Un segnale e si scatena l’inferno” dice il doppiatore smorfiando se stesso che doppia Il Gladiatore: “quando me parte, faccio er Gladiatore e non mi fermo più”. L’inferno qui è il sorriso imbarazzato di Totti, che reagisce alla noia della serata con il solito fascino inadeguato e goffo, come nelle pubblicità. Totti e il romanzo popolare, il campione da celebrare senza ironia, il bisogno di sentirsi insieme. Totti e il desiderio frustrato di una bandiera da amare.