(U. Trani) – Avanti con Di Francesco: il messaggio che arriva da Trigoria è scontato, non essendoci al momento l’exit strategy. Il Frosinone è così vicino che non c’è tempo, anche volendo, per il ribaltone immediato. In più non c’è intesa tra Boston, Londra e la Capitale. Tra le varie anime del club che, come spesso è accaduto in passato, non sono in sintonia sul sostituto da ingaggiare in corsa. Pure al momento di scegliere Spalletti, negli ultimi mesi del 2015, non ci fu l’unanimità. Tant’è vero che lo sbarco fu postdatato. Manca quindi il candidato unico e, di conseguenza, conviene per ora non intervenire, anche se l’attuale allenatore sa di essere all’ultima chiamata. Fiducia a ore. Le prime 72 scadono dopo la gara di domani sera all’Olimpico.
APPESO AL RISULTATO – Di Francesco, insomma, non ha la certezza di resistere a lungo sulla panchina giallorossa. Naviga a vista, di partita in partita. In caso di vittoria contro il Frosinone, ecco altre 72 ore (scarse) a sua disposizione: sarebbe confermato fino al derby di sabato pomeriggio. Da non perdere, per arrivare al match di Champions contro il Viktoria Plzen di martedì 2 ottobre. Si andrà avanti così fino a sabato 6 contro l’Empoli. Perché poi Pallotta, nella sosta per gli impegni delle nazionali, prenderà la decisione definitiva. Dentro o fuori. Ad oggi il presidente ha solo telefonato a Baldini, incaricandolo di valutare il profilo ideale.
SITUAZIONE IMBARAZZANTE – Il ritiro, di solito, serve per far gruppo (nel pomeriggio la visita di mogli e bimbi: in lacrime il figlio di Perotti al momento di tornare a casa). Non a Trigoria, almeno di questi tempi. Perché l’unità (di crisi) non c’è. I dirigenti hanno idee diverse sul da farsi. Se cambiare o no. Come, quando e chi. A Roma non la pensano come a Boston e a Londra. Facile capire chi avrà la meglio. Restare insieme è comunque utile per confrontarsi. Monchi lo ha fatto con Di Francesco già domenica sera. Il ds è deluso dal rendimento di qualche titolare e ne ha parlato con l’allenatore. Che, però, deve scegliere la rotta per uscire dalla tempesta. Senza ripensamenti e cambiamenti. È il consiglio girato da Monchi a Di Francesco. Anche perché il ds, nei colloqui individuali dei giorni scorsi, ha preso atto del desiderio dei giocatori: continuità nel sistema di gioco e nella formazione. Il tecnico, invece, è amareggiato per il black out dei senatori: scena muta, giovedì scorso, nella riunione allargata solo a loro. Avrebbe voluto conoscere il loro parere: sono rimasti allineati e coperti. Adesso con loro dovrà firmare l’armistizio, cucendogli addosso il modulo su misura. L’obiettivo: ritrovare lo spirito della stagione scorsa. Andando incontro a Dzeko. Perché il centravanti è il più inquieto. Non ha condiviso il ridimensionamento estivo, con le partenze eccellenti: avrebbe voluto che l’allenatore si mettesse di traverso, senza farsi condizionare dal rinnovo di contratto appena firmato. Il pensiero di Dzeko è condiviso da altri big. Che gli vanno dietro. Il nervosismo, comunque, monta. Discussioni se ne vedono ormai in ogni match, l’ultima nel tunnel del Dall’Ara. Anche Di Francesco ha urlato spesso in partita. E si è ripetuto nel discorso del day after alla squadra: «Adesso non farò più sconti a nessuno», la sintesi del suo sfogo. Ormai ha capito chi non lo segue.
CONSULENTE AL LAVORO – La divisione dei ruoli (e non solo) è sempre più evidente nella Roma. E inquietante. Monchi si sente isolato quanto Di Francesco. E scavalcato. Così, in caso di esonero del tecnico, sarebbe pronto a dimettersi. Come Gandini, ma l’ad per andare al Milan. Baldini, invece, già macina sostituti. Nella lista dei disponibili, con Paulo Sousa (il Tianjin Quanjian lo libera, ma con robusta penale da pagare) e Blanc, ecco che prende quota Donadoni, contrario per ora ad allenare il Giappone e favorevole all’avventura in Cina: piace alla proprietà. Aziendalista come lui ce ne sono pochi. Montella figura nell’elenco. E Conte rimane alla finestra. Con vista sul futuro.