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Una storia infinita. Tra rinvii e inchieste lo stadio che non c’è

It’s a big day today”. Erano le 11.43 local time (le 17.43 in Italia), c’era un bel sole a Orlando, in Florida, il giovane e rampante costruttore romano indossava il vestito delle grandi occasioni, il manager americano re dei fondi speculativi grandi occhiali scuri e una camicia senza cravatta. Entrambi sfoderavano il loro migliore sorriso. Era il 30 dicembre 2012. “Un grande giorno”, in cui Luca Parnasisentì che sarebbe diventato un palazzinaro più famoso del padre, e James Pallotta si convinse di aver fatto l’affare della vita: quattro mesi prima era diventato presidente di un club di calcio con un grande nome ma poco valore; un paio d’anni dopo, tre al massimo, l’avrebbe rivenduta con un grande stadio per tanti soldi, come scrive Alessandro Catapano su La Gazzetta dello Sport.

Sono passati quasi sei anni dalla firma dell’accordo tra Parnasi e Pallotta, il primo atto del progetto «stadio della Roma». A rileggerle oggi, le cronache degli inviati in Florida fanno sorridere di tenerezza.

Col passare dei mesi, poi degli anni, questo stadio è diventato un Everest. Da quel 30 dicembre 2012, sono trascorsi 2.083 giorni. Roma ha avuto tre sindaci di tre aree politiche diverse e un commissario nominato dal governo. Eppure, il progetto non ha ancora concluso il proprio iter burocratico.

Il progetto è stato concepito con Alemanno, che è passato in fretta, sottoposto una prima volta a Marino, rimasto congelato con Tronca, e sottoposto in una nuova versione alla Raggi. Le sue cubature sono aumentate e diminuite come sulle montagne russe. L’area di Tor di Valle, scelta dopo una lunga selezione, ha subito ogni tipo di contestazione: dai residenti, dagli ambientalisti, dagli assessori. Prima per il rischio idrogeologico del Tevere, poi per la tutela architettonica della tribuna del vecchio ippodromo, infine per i rischi di mandare in tilt la viabilità del quadrante.

Il progetto ha resistito a Mafia Capitale e stava lentamente arrivando al traguardo, ma l’inchiesta Rinascimento – ribattezzata Stadio Capitale – l’ha travolto. Parnasi e i suoi collaboratori arrestati per associazione a delinquere e corruzione, nei guai il factotum del M5S Lanzalone, nel frattempo promosso alla guida di Acea, un ex assessore regionale, un consigliere, una decina di soggetti tra politici locali, funzionari, dirigenti ministeriali, intermediari, tutti indagati. Una frana che non ha travolto lo stadio, ma tutto quello che si muoveva intorno.

La pazienza di Pallotta si sta esaurendo. Il presidente della Roma l’ha detto in tutte le salse: “Se bloccano lo stadio me ne vado”. Lui e i soci, che in questa operazione hanno già investito un centinaio di milioni, continuano a impegnarsi: ora pare siano disposti a rilevare la parte di Parnasi diventando di fatto i soli titolari del progetto. La nuova dead line concessa al Comune è il 30 dicembre: la Roma s’aspetta di festeggiare il Capodanno almeno con la variante urbanistica. In fondo saranno passati solo sei anni.

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