Ieri avrebbe voluto sicuramente dare una mano anche in campo, Francesco Totti. Ha provato a farlo spronando la squadra nel tunnel del Bernabeu a pochi minuti dal fischio d’inizio. Non è bastato per vedere la sua Roma rialzarsi contro il Real Madrid. Lo storico capitano giallorosso e dirigente ha rilasciato un’intervista al “Venerdì” de “La Repubblica”. Eccone uno stralcio.
“Finivi scuola e con la testa già eri proiettato al pomeriggio che dovevi fare queste ‘cavolate’, che però erano importanti: stavi con gli amici, giocavi a pallone, c’era più passione, più divertimento, più voglia”.
Quali paure ti sono rimaste?
Un po’ di paura c’è sempre, soprattutto quando stai con i bambini. Fino a quando stai solo non ce ne sono, al massimo ti si portano via… Più che altro quando stai con i bambini può succedere qualsiasi cosa.
Sulla possibilità di vedere campioni a Roma.
Per vincere ho sempre detto che servono i campioni. Speravo venissero Ronaldo, Ibrahimovic, i più forti del mondo. Ma anche difensori o centrocampisti. Purtroppo avevamo un limite, le poche possibilità economiche per spendere per questi campioni. Ho cercato di portare gente impensabile a Roma”.
Cassano?
Quando è arrivato andavamo a cena ai ristoranti, eravamo 7-8 persone. Era seduto ad un altro tavolo, ti alzavi ed aveva già pagato lui. Pagava per persone che non conosceva perché c’ero io. Una volta, due, tre… Gli ho detto che non andava bene. Era così, di indole. Adesso un po’ meno perché la moglie ‘je mena’ (ride, ndr).
Negli ultimi anni è cambiato anche tanto il modo di vivere lo spogliatoio.
Io ero come loro, li conosco bene, conosco il linguaggio segreto fatto di occhiate, mezze parole. E cerco di rendermi utile. Adesso si parla quasi solo inglese. Se non lo sai non capisci un c… E si fa meno gruppo. In ritiro, rientrato dal campo, ognuno si isola in camera sua col telefonino… A navigare, a mandare messaggi.