(M. FAVALE) – Una mail potrebbe costare cara a Franco Giampaoletti, potentissimo direttore generale (anche detto city manager) del Campidoglio, arrivato alla corte di Virginia Raggi un anno fa con un sostanzioso stipendio da 170 mila euro. «Si tratta di un compenso in linea e addirittura inferiore a quanto corrisposto a chi riveste incarichi analoghi nelle altre grandi città italiane», misero le mani avanti i 5 Stelle in Comune, già scottati in passato per le polemiche sugli ingaggi degli esterni. Dallo Stadio della Roma alla complicata partita delle aziende partecipate, Ama in testa, Giampaoletti ha in mano i dossier più importanti che riguardano l’amministrazione Raggi. Da ieri, però, (caso abbastanza inedito per una figura dirigenziale) è finito nel mirino delle opposizioni che hanno presentato in Aula una mozione «di censura» sull’operato del city manager chiededone «la decadenza e la rimozione». Solo il primo atto di un’offensiva che dovrebbe coinvolgere anche il prefetto Paola Basilone, che nei prossimi giorni verrà sollecitata sul caso da una lettera. Nella comunicazione alla Basilone verrà spiegato il contenuto della mozione firmata ieri dal centrosinistra, da Fdi, da Forza Italia e dal gruppo misto, e nella quale si torna indietro al primo di febbraio, quando alle 16.47, dall’indirizzo di Giampaoletti partì una mail indirizzata ad alcuni dirigenti del Campidoglio. Oggetto: “Commissione trasparenza 4/2”. «Gentilissimi — si legge nel testo — avendo provato a contattarvi senza successo nel pomeriggio provo a inviare intanto un primo messaggio. In merito alla convocazione della Commissione trasparenza del prossimo lunedì 4 febbraio il nostro Ente ritiene opportuno limitare la partecipazione alla parte politica. Sarà mia cura contattarvi personalmente lunedì mattina per chiarire eventuali dubbi». La riunione a cui si riferisce Giampaoletti nella mail è quella convocata dal presidente, il dem Marco Palumbo, per discutere del parere del Politecnico di Torino sull’impianto di Tor di Valle. Quella mail per le opposizioni rappresenta «un’ingerenza» non solo per non aver consentito il lavoro di controllo e garanzia che per statuto la commissione ha il diritto-dovere di svolgere ma soprattutto perché, si legge nel testo della mozione, «si potrebbe ravvisare un possibile intervento in conflitto di interessi in quanto il dg è stato sentito dalla procura di Roma in merito proprio allo stadio della Roma come persona a conoscenza dei fatti in virtù del suo ruolo istituzionale e per il suo specifico rapporto con l’avvocato Luca Lanzalone». Di «comportamento irriguardoso» parla Svetlana Celli, capogruppo di RomaTornaRoma. Per quel lo di Fdi, Andrea De Priamo «il dg non può dire agli uffici di non partecipare a una commissione». «Se l’M5S voterà contro questa mozione allora vuol dire che la maggioranza ha influito sull’azione amministrativa degli uffici», aggiunge Giulio Pelonzi, Pd. E secondo Davide Bordoni, Fi, «quest’amministrazione è sempre più opaca». Intanto ieri l’Aula ha approvato il nuovo regolamento sull’accesso agli atti, con la maggioranza costretta a cancellare il passaggio che prevedeva possibili limitazioni in caso di richiesta di documenti da parte dei giornalisti. Eliminati i riferimenti agli organi di stampa resta l’obbligo da parte dei dirigenti di «motivare adeguatamente gli eventuali provvedimenti di differimento e rigetto, anche parziale».
Fonte: La Repubblica