(A. Austini) – No, non si è dimenticato come si gioca a pallone. Se parliamo di classe nessuno nella Roma ne ha quanta lui e pochi in A. Il problema di Javier Pastore è che al Psg ha smesso di essere un atleta per assenza di competizione e agonismo. Così, quando ha provato a ricominciare, ha pagato un conto salatissimo. Eppure, zitto zitto, le rare volte che dall’infermeria e gli studi medici di Barcellona è passato al campo, il segno lo ha lasciato eccome. E’ quasi incredibile che quello di ieri sia il quarto gol stagionale, bello quasi quanto quei due colpi di tacco con Atalanta e Frosinone che sembravano i titoli di coda di una carriera finita in anticipo. Rieccolo il Flaco in tutto il suo splendore, un colpo di biliardo per il 2-0, palle che scompaiono e riappaiono tra i suoi piedi, una traversa che grida vendetta, la determinazione di un ragazzo fermo da troppo tempo.
A fine partita, senza nominarlo, Pastore si è voluto togliere dei sassolini dalla scarpe lanciandoli metaforicamente addosso a Di Francesco. “Mi sono infortunato subito – racconta l’argentino – e poi non ero più un’opzione per l’allenatore che c’era prima. Sono stato messo da parte per mesi e non sono stati facili, ma mi sono allenato alla pari per tornare il prima possibile. Oggi ho avuto la ricompensa e ho fatto una buona prestazione”. La seconda stoccata indiretta a Di Francesco la serve paragonando la Roma di oggi a quella di prima: “Mi sono sentito meglio in campo, ho trovato una squadra più sicura e serena sia quando abbiamo il pallone sia se lo perdiamo. Sappiamo cosa fare per difendere, l’allenatore ce lo dice sempre che il gol si può segnare. Ranieri non parla tanto coi giocatori ma fa capire quello che vuole. Eravamo quasi morti, adesso sembriamo un’altra squadra. Il mister ha capito i momenti di tutti e li ha cambiati”.
Riavvolgendo il nastro, la stagione del Flaco resta un calvario. “Mi sono infortunato subito, dovevo fare più attenzione perché non ero pronto per giocare ogni tre giorni, ma sono cose ormai passate. L’ultima partita da titolare in campionato l’avevo giocata sette mesi fa contro la Lazio. La squadra mi ha aiutato tanto, sono arrivati dei gol e non ne abbiamo subiti, è positivo per arrivare all’obiettivo Champions. Sul primo gol ho provato a tirare piano e per fortuna è andata bene, peccato per il secondo, era ancora più bello”. Ma gli è bastato segnarne uno per prendersi la prima ovazione da romanista. “Non posso dire niente ai tifosi, solo ringraziarli. Mi hanno sostenuto sempre, anche per strada. Mi sento un po’ in debito perché sono venuto per fare altro ma gli infortuni non me l’hanno permesso”.
Sarà stato felice di vederlo finalmente esultare anche Monchi dalla Spagna, lui che ieri ha ricordato come “a Roma sono frustrati perché si è vinto poco e io ho lavorato con tanta pressione addosso“. Ha sbagliato tanto, ha fatto infuriare una tifoseria intera e un presidente imbestialito con lui, ma era certamente in buona fede. Perché Pastore, ad esempio, a pallone ci sa giocare.
Fonte: il tempo