(M. Pinci) – Negli occhi doveva avere dieci giorni di affetto ricevuto e rabbia: più che la propria, quella di tanti tifosi. Alla fine Daniele De Rossi ha preso una penna e ha scritto ciò che gli veniva dal cuore per raccontare l’emozione dell’addio alla sua Roma: una foto, lui bambinocon una magliettina giallorossa e il sorriso orgoglioso di chi indossa il regalo più ambito. Poi, un dialogo immaginario con il sé adulto: “Che te ridi regazzi’?”. “So’ felice! C’ho la maglietta della Roma”. “E se te dico che la indosserai più di seicento volte?”. Oggi contro il Parma saranno esattamente 616: l’ultima volta, che la Roma celebrerà con un gonfiabile con le sue fattezze, la curva con un manifesto di cinque metri che lo ritrae e bandierine giallorosse, i tifosi con un quadro con il numero 18 – i suoi anni con la Roma – che gli hanno consegnato ieri prima dell’allenamento. De Rossi ha scelto che la lettera fosse pubblicata sul sito della Roma per non rischiare nel magone della lettura allo stadio come Totti: e se quella fu un parto lungo e faticoso, per questa Daniele aveva le idee molto chiare. Un lungo ringraziamento: «Alla famiglia Sensi e a Pallotta», l’unico che compare per cognome. Poi, all’amico fisioterapista Damiano, licenziato pochi mesi fa dalla Roma. A «Francesco», ossia Totti, ieri a lungo con lui nello spogliatoio. Perché «non capita a tutti di giocare 16 anni accanto al proprio idolo. La fascia l’ho ricevuta dalle mani di un fratello. La riconsegno a un altro fratello (ossia Florenzi) che sono sicuro ne sia altrettanto degno». C’è spazio anche per allenatori e compagni, «la mia famiglia», Astori e Ostia, i genitori e i figli «Gaia, Olivia e Noah e soprattutto Sarah», la moglie: «Senza di loro sarei la metà dell’uomo che sono». Le ultime parole sono per i tifosi: «Mai come in questi giorni ho sentito il vostro affetto: mi ha travolto e mi ha riempito il cuore. Mai come in questi giorni vi ho visto così uniti per qualcosa. Ora, il regalo più grande che mi potete fare è mettere da parte la rabbia e uniti ricominciare a soffiare per spingere l’unica cosa che ci sta a cuore, la Roma. Nessun mai vi amerà più di me». E un «arrivederci». Il proposito nero su bianco di tornare a casa sua, un giorno. Magari da allenatore.
Fonte: la repubblica