Spazio e tempo, forme a priori della sensibilità secondo Immanuel Kant. I parametri che spiegano la scelta priva di fondamento operata dalla società nei confronti di Daniele De Rossi. Lo spazio, la distanza della Roma tricefala (Boston, Londra, Italia) dal suo capitano e dalla sua gente. “Un giorno parlerò con Baldini e Pallotta” ricordava il centrocampista giallorosso durante la conferenza stampa di commiato. I molti km che separano i centri di potere rendono il livello comunicativo inaccettabile e portano ad un’enorme confusione, percepita anche da De Rossi.
Il tempo. Non si può organizzare con pochissime ore di anticipo un evento di tale importanza, sia per una mancanza di rispetto nei confronti del diretto interessato sia nei confronti delle migliaia di tifosi ad esso affezionati. Un comunicato via social per annunciarlo di prima mattina, un messaggio su Twitter da parte di Pallotta per salutare un altro pezzo di storia dopo quanto avvenuto con Totti. Si proprio Totti, ancora una volta sminuito dalle parole dell’AD Fienga, pronto ad offrire un posto in società al centrocampista di Ostia, senza pensare che c’è chi da due anni aspetta di trovare una collocazione precisa.
Forma e sostanza della scelta. Entrambe sbagliate. La prima come già anticipato, è stata a dir poco vergognosa, forse consona ad un giocatore di medio livello e non ad una colonna portante di questa squadra. Tra l’altro tutto avvenuto il 14 maggio (ricorrenza dello scudetto laziale) e con l’ultimo atto in campionato in programma il 26 maggio (una delle date più nefaste della nostra storia). Ma queste sono finezze da romanisti e quindi difficilmente comprensibili da chi percepisce tutto con un radicale distacco.
La seconda altrettanto errata, vista la presunta programmazione a cui si va incontro. Nessuna ambizione di vittoria, il gran rifiuto di Conte, il possibile arrivo di un allenatore di secondo piano come Gasperini, l’ennesima rivoluzione basata sui giovani e nemmeno un posto per un giocatore che al netto degli infortuni ha dimostrato anche quest’anno di essere indispensabile? Si dirà è un mero discorso di numeri d’azienda, di soldi. Bene. Si sono trovati 4,2 mln per pagare l’ingaggio di Pastore, 3 per quello di Nzonzi, 2.2 per Marcano, e non si può rinnovare un altro anno a cifre simili per lui?
Il problema non sono le finanze, il ridimensionamento palese sottolineato dallo stesso Daniele in conferenza, ma il piano del sentimento completamente annientato da una presa di posizione folle, ricca di malizia e priva di lungimiranza. Un’altra spallata alla nostra storia, con una china che rischia di diventare assai pericolosa. Come recitava la Curva Sud in un derby di qualche anno fa “Figli di Roma, capitani e bandiere. Questo il mio vanto che non potrai mai avere”. Purtroppo di questo passo nemmeno noi potremmo più averlo.
Angelo Papi