(S. Rizzo) – Se non è il classico piano B, un po’ gli assomiglia. Per lo stadio della Roma calcio gli americani hanno già speso una barca di quattrini: 33 milioni, dicono. E a vederli finire tutti nella pattumiera non ci pensano proprio. Ecco perché nelle scorse settimane è stato sondato Esterino Montino, il sindaco PD di Fiumicino. Scopo del sondaggio: appurare la disponibilità del suo Comune a ospitare lo stadio destinato invece a Tor di Valle se l’estenuante trattativa con il Campidoglio dovesse per una qualche ragione naufragare. Il fatto è che la seconda conferenza dei servizi si è conclusa ormai più di un anno fa. Esattamente l’11 giugno 2018. Ma la convenzione che dovrebbe sbloccare l’operazione, un investimento da 1,2 miliardi sborsati dai fondi americani in cordata con il presidente della Roma calcio James Pallotta, ancora non c’è.
Il percorso si arricchisce di ostacoli a ogni passaggio. L’ultimo è il concetto di “contestualità”. II Comune dice che lo stadio non può aprire prima del completamento delle opere di potenziamento della linea Roma-Lido. Quelle opere però non dipendono da chi realizza lo stadio, bensì dalle Ferrovie: cui peraltro il costruttore contribuisce con 45 milioni. E di mezzo c’è anche la Regione. Come si combinano le due cose? Ma anche tralasciando gli intoppi burocratici, ci sono sempre le incognite politiche. Per dare il via libera definitivo allo stadio serve la ratifica della variante urbanistica da parte della Regione di Zingaretti, ma anche un voto del consiglio comunale grillino della capitale. Dove la tempesta giudiziaria che ha investito il costruttore Luca Parnasi e il super consulente della sindaca Raggi, Luca Lanzalone, non è stata una passeggiata di salute.
E c’è un segnale che fa capire quanto la corda sia tesa. La Roma calcio ha chiesto un parere alla giurista Luisa Torchia, già consigliera dell’ex premier Romano Prodi, nell’eventualità in cui si dovessero verificare i seguenti due fatti: che il Campidoglio revochi la dichiarazione di interesse pubblico per il progetto dello stadio, confermata il 14 giugno 2017 dal consiglio comunale a maggioranza 58, o che lo stesso Comune blocchi la ratifica finale della conferenza dei servizi che ha già approvato il progetto. Facendo saltare l’operazione. Quel parere è un modo per mettere le mani avanti. E com’era ovvio sostiene che il Comune a questo punto non può tirarsi indietro. Ma gli investitori americani scalpitano e la società di Pallotta ha così pensato anche a un paracadute: quello dì Fiumicino, in un’area dove la ferrovia corre parallela all’autostrada per l’aeroporto. Infrastrutture già esistenti e un’amministrazione pronta ad accoglierli a braccia aperte.
Sette anni ci sono voluti per arrivare a questo. Sette anni, tre sindaci e un commissario prefettizio. Sette anni e ben due conferenze dei servizi. Con In più la defenestrazione di un assessore, Paolo Berdini, che era fieramente contrario all’aumento delle cubature. Cacciato via proprio da chi non aveva invece voluto «le Olimpiadi del mattone». Tutto comincia ll 19 aprile 2012, amministrazione Alemanno. Con una sollecitazione pubblica sul giornali, la Roma comunica che sta cercando un’area per fare lo stadio. Arrivano 86 offerte, ma alla fine la scelta si riduce alle tre considerate più buone. La migliore in assoluto è nel quartiere Collatino. Proprietari sono i costruttori Gianni, eredi di Anacleto Gianni che fu anche presidente della Roma. Ha però un difetto: misura solo 13 ettari.
La seconda in graduatoria è più grande ed è nella stessa zona. Fa capo a una società del Tesoro, Fintecna. Ma anche qui i problemi non mancano: l’area è sbilenca e tagliata in due dalla strada. In più la società è pubblica e dovrebbe fare un bando. La terza scelta è Tor di Valle, che è dei proprietari dell’ippodromo ormai in stato di completo abbandono. Lì sopra ci ha messo gli occhi Sandro Parnasi, il padre del Luca finito nei guai. Vuole farci un centro residenziale tipo Milano 2. Ma non ha difficoltà a cambiare idea e accordarsi con la Roma. Grazie anche al fatto che le sue pendenze con Unicredit potrebbero essere sistemate dando alla banca uno dei due grattacieli progettati dall’architetto americano Daniel Libeskind.
L’operazione assume dimensioni enormi per le compensazioni dovute ai necessari investimenti in opere pubbliche a carico del privato: un milione di metri cubi. E diventa un caso. C’è chi sospetta una speculazione sfacciata con la scusa dello stadio. E la consigliera comunale Virginia Raggi, che dice: «La delibera di pubblica utilità dello stadio a Tor di Valle? Magari la ritiriamo e lo facciamo da un’altra parte. Tor di Valle allo stato attuale appare un’operazione speculativa». Ma il Comune guidato da Ignazio Marino ci ha messo il timbro. E se il commissario Francesco Paolo Tronca se ne tiene alla larga, Virginia Raggi da sindaca non può farlo.
Ben presto inizia la demolizione del vecchio progetto. Berdini gli fa la guerra, aiutato anche da un vincolo dei Beni culturali sul vecchio ippodromo che spunta dopo tre anni. I grillini però sbandano e la logica del compromesso prevale. Via l’assessore insieme ai grattacieli e a quello che sì può eliminare. Ma lo stadio va fatto. Si approva il progetto, la seconda conferenza dei servizi sembra andare liscia come l’olio. Senonché, due giorni dopo il tempo fissato per le eventuali osservazioni, arrestano Luca Parnasi, che ha ereditato l’affare dal padre Sandro, morto due anni prima, e Lanzalone. I magistrati si affannano a chiarire che il progetto dello stadio non è coinvolto. Ma da quel momento si procede a passo di lumaca. Con gli oppositori che non demordono. «Spero che lo stadio si faccia da un’altra parte», parola di Roberta Lombardi, capogruppo grillina alla Regione. Neanche due mesi fa.