(M. Ferretti) – Paulo Fonseca parla poco. Lo stretto necessario, più o meno. E non è (non può esserlo) un problema di lingua. Quando lo fa, come accaduto dopo la partita di Perugia, usa un campionario di frasi scontate, di routine. Come non giustificarlo, però? Il portoghese allena e osserva. Osserva e allena. E si interroga: con quali giocatori potrò lavorare da qui alla fine della stagione? Oggi non ha certezze. Periodo delicato assai, perché in gruppo ce ne sono tanti che non dovevano più esserci, e quelli che Paulo avrebbe voluto con sé già dall’inizio di luglio sono ancora altrove. E nessuno può garantirgli che, prima o poi, quegli elementi arriveranno a Trigoria. Anzi, il rischio è che se ne vada qualcuno che Paulo vorrebbe non veder mai partire. Meglio parlare il minimo indispensabile, allora. Eppure, l’avvio del campionato non è più così lontano: ecco perché a questo punto ci sarebbe voluta una squadra il più vicino possibile alla Roma che realmente sarà. Perché il portoghese corre seriamente il rischio di aver addestrato per settimane e settimane – con risultati alterni – una Roma finta, fasulla e di dover ricominciare in fretta a plasmarne un’altra da capo.
TANTO DA FARE – Indossare oggi i panni di Paulo significherebbe infilarsi in abiti scomodi. Né brutti né belli: scomodi. Di quelli che adesso sono troppo larghi ma che in un amen potrebbero diventare troppo stretti, e senza aver fatto neppure un giorno di dieta. Tutto precario, tutto instabile. Tutto in attesa di definizione, di punti fermi. Intoccabili. La nuova Roma ha bisogno assoluto di tante cose (ieri lo si è visto con grande, preoccupante evidenza), ma troppo è ancora incerto. In attesa che qualcosa si sblocchi, e sperando che le cessioni siano un male minore. Aveva chiesto coraggio, Fonseca, presentandosi nella Capitale; aveva – forse casualmente – anticipato i tempi, conscio del compito che lo aspettava. Non prevedeva, però, di trovarsi a due settimane dall’inizio del campionato con una squadra così indefinita. E qui non si tratta solo di Dzeko sì o Dzeko no: c’è una difesa da sistemare perché monca; c’è da migliorare la qualità del gioco; ci sono meccanismi da oliare e intese da perfezionare; c’è da dare alla squadra un’identità tattica per ora sconosciuta. Per fare questo, però, serve poter contare su basi solide, al riparo da sorprese. Fonseca lo sa meglio di chiunque altro.
Fonte: il messaggero