Guido Fienga, CEO dell’As Roma, ha parlato del ruolo di Roma Cares durante l’emergenza dovuta al Covid-19. Dall’inizio della pandemia e della crisi che ha portato all’isolamento tutta Italia, la società giallorossa si è impegnata in una serie di inziative a sostegno dei più bisognosi. E il CEO del Club ha commentato in un’intervista all’Agenzia d’Informazione SIR i progetti della fondazione del Club, da sempre vicina alle persone più fragili.
Queste le sue parole:
Mascherine, disinfettanti, dispositivi per permettere ai malati di connettersi con i propri familiari, pacchi con i viveri. L’AS Roma, è stata e continua ad essere una delle società più attive durante l’emergenza Covid-19. Cosa c’è dietro tutto questo impegno?
“Innanzitutto la consapevolezza che l’Associazione Sportiva Roma è molto più di una squadra di calcio. Probabilmente è la piattaforma sociale più importante di questa città, perché questa squadra ha un livello di integrazione con la città e con i suoi umori assolutamente unico. Non è soltanto il punto di riferimento dei suoi tifosi, è molto di più. Abbiamo deciso quindi di valorizzare questo profondo legame che unisce squadra e tifosi, coinvolgendo questi ultimi in una serie di iniziative di carattere umanitario e sociale a beneficio di tutti”.
È per questo motivo che avete dato vita alla Fondazione Roma Cares?
“Sì, e si tratta ovviamente di iniziative tutte correlate al calcio, attraverso le quali però, vogliamo esprimere la nostra vicinanza ai più fragili e a chi è in difficoltà. Obiettivo: soddisfare i loro bisogni, migliorare la loro vita e, se possibile, anche il contesto sociale i cui vivono. Per questi motivi è nata la Fondazione che ormai da un anno a questa parte è diventata sempre più operativa e presente sul territorio, capace di proporre progetti propri. E così, puntando sui nostri colori e i nostri eroi, e mi riferisco ai calciatori, abbiamo la possibilità di svolgere a pieno titolo quel ruolo sociale che la Roma ha nel suo DNA”.
Essere entrati in contatto con la parte debole di questa città, a prescindere dai colori, quanto è utile a una società sportiva come la Roma e più in generale al mondo del calcio?
“Fare questo tipo di esperienze, e lo dico senza retorica, è utile a tutti, non solo a noi e al mondo del calcio in genere. Chiunque ha la possibilità di vivere bene, o sereno, credo abbia anche l’obbligo di guardare a chi queste opportunità non riesce a viverle. A noi che apparteniamo al mondo del calcio basta veramente poco per dare ad altri qualche possibilità in più”.
I giocatori come stanno vivendo questa situazione?
“I nostri giocatori sono consapevoli di quanto sta accadendo intorno a loro e nel mondo. Come tanti loro colleghi di altre squadre, a Natale in particolare ma anche nel resto della stagione, hanno voluto visitare luoghi di sofferenza e disagio, come i reparti pediatrici di alcuni ospedali e case famiglia, per portare un po’ di calore e perché no, un po’ di sana appartenenza ai nostri colori. In queste esperienze, loro per primi, ma anche noi, troviamo anzitutto l’occasione per condividere la nostra fortuna e poi, la forza e le motivazioni per svolgere meglio il nostro lavoro”.
E per quanto riguarda il Covid-19?
“Per quanto riguarda il coronavirus, debbo dire anzitutto che i nostri giocatori hanno obbedito, come tutti, alle indicazioni loro inoltrate. Nessuno si è mosso dalla città e hanno seguito le regole come tutti i cittadini italiani e romani senza fare storie. Anche in loro, come in tutti, c’è un po’ di angoscia e preoccupazione per le tante vittime e i tanti problemi generati dal Covid-19. Ma c’è anche tanta voglia di ripartire”.
Ecco, a proposito, in questi giorni il mondo del calcio discute su come e quando ripartire…
“Io ritengo che ipotizzare una graduale ripresa sia normale e doveroso. Dopo sei settimane di quarantena, effettuando i dovuti controlli sia sui giocatori che sui loro familiari, credo si possa ipotizzare una ripresa graduale nel nostro centro sportivo. Aspettiamo indicazioni dalle autorità competenti sulla ripresa delle competizioni ma intanto già una ripresa degli allenamenti sarebbe importante. Del resto l’obiettivo deve essere ritornare, seppur per gradi, a una normalità, tenendo presente le dovute cautele, ma anche senza eccessive paure. Badi bene, non voglio dire che dobbiamo riprendere a tutti costi sacrificando tutto e tutti sull’altare del calcio, e la Roma ha dimostrato quanto sia importante puntare sulla prudenza e sulla prevenzione: bisogna fare le cose con prudenza, senza però cadere nella “dipendenza dall’emergenza”, uno stato d’animo che se non controllato rischia di fermare ogni cosa”.
Il passaggio di questa pandemia non lascerà il mondo così come lo ha trovato. Il Papa, la notte di Pasqua, diceva che questo tempo deve aiutarci a capire cosa è importante tenere e cosa invece è necessario lasciare. Ecco, il calcio, cosa deve tenere e cosa invece deve lasciare.
“Il calcio, come altri settori, ha vissuto in questi ultimi anni all’interno di una bolla economica legata a un concetto di crescita infinita e non sempre sostenibile. Il virus sta facendo scoppiare, o perlomeno sgonfiare, ogni tipo di bolla, e quella che circonda il mondo del pallone non farà differenza rispetto alle altre. Sono un pragmatico e sto nella realtà, dico quindi che questa è la sfida più importante che attende il nostro mondo, nella prospettiva di evitare assolutamente una rottura del sistema che, anche in questo caso, potrebbe avere ripercussioni catastrofiche a livello occupazionale, e non mi riferisco ovviamente ai giocatori”.
… e da lasciare?
“C’è tanto da lasciare è vero, ma c’è soprattutto da pulire. E mi riferisco a tanti aspetti considerati essenziali per raggiungere prestazioni o risultati e che invece, e ce ne stiamo pian piano rendendo conto, così essenziali non sono. Per me se ne esce solo se saremo capaci di puntare sui valori della collettività, dell’integrazione tra la società e la comunità di riferimento a partire dei propri tifosi, e quelli romanisti nel mondo sono tanti. Valori che vorremmo appartenessero a chiunque entra in questa società, giocatore e non”.
L’AS Roma ha una proprietà americana. Quanto ha inciso questo fattore sulle vostre attività extra calcio e cosa invece ha trovato, come patrimonio, in questa città
“La proprietà americana ha dato una grande spinta, allo stesso tempo però devo anche dire che ha trovato un legame molto forte con la gente. È sicuramente il motore organizzativo delle nostre iniziative extra campo”.
Negli Stati Uniti infatti, fare beneficenza è una consuetudine.
“Non a caso la Fondazione Roma Cares nasce da un’idea del Presidente James Pallotta che però ha avuto il merito di capire che patrimonio di appartenenza e integrazione portavano in dote questa squadra e questi tifosi. Un rapporto unico e particolare, che rende la società ben più di un club sportivo”
C’è spazio per altre iniziative?
“Assolutamente sì. Il Programma in realtà era partito molto prima del coronavirus. Siamo orgogliosi di portare avanti da anni attività come il calcio insieme, un modello d’integrazione attraverso il calcio per bambini con disabilità intellettive e relazionali. Così come siamo fieri di aver lanciato, l’estate scorsa, la campagna Missing Children sui social media, in parallelo agli annunci dei nuovi acquisti della squadra, con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla sparizione dei bambini in tutto il mondo. Il club ha stipulato una partnership con il National Center for Missing and Exploited Children degli Stati Uniti e con il Telefono Azzurro in Italia, e via via con altre organizzazioni, per dare visibilità ai bambini scomparsi in uno dei momenti di massima attenzione per le piattaforme social del club, vale a dire la campagna acquisti: questo ha contribuito al ritrovamento di ben sei minori in tutto il mondo. E questi sono soltanto due esempi del nostro impegno quotidiano. Il coronavirus ha solo maggior visibilità a quanto già stavamo facendo. Abbiamo tanti sostenitori e tanti altri ne vogliamo trovare per fare sempre di più e meglio. Lo faremo ovviamente puntando innanzitutto su chi si sente legato a questa squadra e a questi colori ovunque nel mondo, come ad esempio abbiamo fatto con la campagna “New York Kicks Coronavirus”, avviata da 34 diversi fan Club della città statunitense e che ha permesso di raccogliere migliaia di dollari donati al “New York Health + Hospitals”, il più grande sistema di assistenza sanitaria pubblica presente negli Stati Uniti, che serve oltre un milione di cittadini in più di 70 strutture sanitarie con l’obiettivo di prendersi cura di tutti i malati, indipendentemente dalla disponibilità economica o dal permesso di soggiorno dei pazienti. Questa è la forza di un club come il nostro che ha nei tifosi il patrimonio più prezioso”.
La squadra e la società come vivono il rapporto con il vescovo di questa città, che è il Papa?
“Per noi, come squadra e come società, è un onore avere il Papa come vescovo della città che nel nome e nei colori rappresentiamo. E questo Papa poi, è anche un grande intenditore di calcio e la cosa non dispiace affatto, e come tale capisce anche se facciamo bene o male il nostro lavoro. Abbiamo avuto l’immenso piacere di incontrarlo durante il Giubileo della Misericordia poco prima della partita giocata, per raccogliere fondi, contro la sua squadra del cuore: il San Lorenzo de Almagro. Ricordo che il Papa fu contento di riceverci e noi, le posso assicurare, molto di più”.
Fonte: agensir.it