In Campidoglio tutto sembra tacere. Nulla da registrare anche dalle parti del dipartimento Urbanistica, dove tutt’al più manager e funzionari sono alle prese con i ricorsi ultramilionari di Eurnova e Vitek al Tar del Lazio per la finaccia dell’affare Tor di Valle. Eppure qualcosa si muove.
Nelle intenzioni di Dan e Ryan Friedkin, i presidenti americani della Roma, c’è sempre l’idea di uno stadio, sostenibile e remunerativo. Un’orizzonte di idee che continua a convergere sul quadrante Ostiense. L’area offre i terreni degli ex Mercati generali, ma pure quelli all’ombra del gazometro. La novità sta nel non disclosure agreement che il club giallorosso ed Eni, titolare del fazzoletto vista Tevere, hanno firmato negli ultimi giorni.
Traduzione: entrambe le parti si impegnano a non diffondere ulteriori informazioni sui prossimi passi. Non sull’eventuale design della nuova casa dei romanisti, nemmeno sulle bonifiche del terreno necessarie per gettare le basi del progetto. Massima riservatezza. Ma il segnale è chiaro, la Roma è interessata all’area.
Dopo i primi sopralluoghi, ormai risalenti a diversi mesi fa, vuole studiare a fondo l’ipotesi che più la riporterebbe vicino a Testaccio, cuore giallorosso. Magari integrando il suo progetto a Road, il piano di Eni per portare nella capitale un nuovo distretto dell’innovazione. Startup, green economy e pallone.
Un sogno. Poi c’è la realtà. I Friedkin hanno ormai preso confidenza con Roma, hanno imparato a conoscere la sua macchina burocratica. Ogni scelta verrà presa in accordo con il Campidoglio, senza strappi. Certo è che chi si è soltanto azzardato a proporre location che avrebbero portato lo stadio di nuovo oltre il Grande raccordo anulare negli ultimi mesi ha passato un brutto quarto d’ora: “Il prossimo che ci parla di Tor Vergata fa una brutta fine”.
Sembra che la gran presa di coscienza dei proprietari della Roma li abbia portati a guardare con interessa a quello che succede in Toscana. A fasi alterne dalle parti di Trigoria viene voglia di fare come Rocco Commisso. Il connazionale dei Friedkin, patron a stelle e strisce della Fiorentina, ha più volte minacciato di vendere il club viola davanti agli stop sul nuovo stadio. Tanta agitazione ha pagato. Letteralmente: i lavori per ristrutturare il vecchio Artemio Franchi, progettato da Nervi proprio come il Flaminio, sono inclusi nel Pnrr. Il Comune di Firenze ha un tesoretto da 95 milioni di euro pubblici a disposizione per far contenti i tifosi. E pure il club.
Intanto a Roma va avanti il solito esosissimo tran tran. Il bilancio della società registra perdite e avrebbe bisogno di iniezioni di liquidità che, tanto per ripianare quanto poi ripartire di slancio, dovrebbero sfiorare il miliardo di euro. La questione stadio, poi, è diventata un fastidioso andirivieni di progetti saltati e contenziosi. Così (riecco Commisso) tante volte dal mazzo dei Friedkin pare pronta a saltare fuori la minacciosa carta del “basta, ce ne andiamo”.
Nel mezzo c’è comunque spazio per il turnover. Dalla dirigenza è in uscita Stefano Scalera, arrivato alla fine del periodo di aspettativa e di ritorno al ministero dell’Economia. In entrata, invece, si fa il nome di Lucia Bernabè. La figlia del supermanager Franco, già presidente di Telecom e oggi alla guida di Acciaierie d’Italia (l’ex Ilva), è la candidata più accreditata alla gestione del dossier stadio. Ha un buon rapporto con Alessandro Daffina, amministratore delegato della banca d’affari Rothschild per l’Italia. Un volto noto dalle parti di Trigoria, legato a Radovan Vitek. Il tycoon ceco, proprietario dei terreni di Tor di Valle, resta sempre vigile sulle mosse della Roma.
Intanto Eni precisa la portata delle interlocuzioni in corso con il club giallorosso per l’area all’ombra del gazometro: “Eni si è resa disponibile a fornire i dati relativi all’area di interesse. Ma non esiste nessuna trattativa, né tantomeno accordo firmato, per la realizzazione dello stadio nell’area”. Traduzione: i due player si parlano, ma sono ancora alle fasi preliminari.