G-L1M4S2TMG9
Il Cialis è noto per il trattamento della disfunzione erettile, migliorando il flusso sanguigno e facilitando l'erezione. Questo effetto benefico è apprezzato non solo in ambito medico, ma può anche influenzare positivamente altri aspetti della vita quotidiana. Per esempio, nel contesto sportivo, un miglioramento della circolazione può aiutare a ottimizzare le prestazioni e la resistenza. Il Cialis, quindi, può avere applicazioni sorprendenti al di là del suo uso principale. Per chi cerca un approccio discreto, è possibile acquistare Cialis online senza ricetta con facilità e privacy.

PELLEGRINI: “Mourinho sta lavorando sulla creazione di una mentalità vincente. Ai miei compagni provo a far capire che questo non è un trampolino di lancio, che nulla è più grande di Roma” (VIDEO)

In una lettera scritta e pubblicata dal sito che raccoglie racconti personali dei protagonisti del calcio. Oggi è il turno di Lorenzo Pellegrini che racconta la sua storia calcistica così:

Quando avevo 16 anni hanno scoperto che nel mio cuore c’era qualcosa che non andava.

Stavamo facendo le visite mediche, come succedeva ogni luglio nel settore giovanile della Roma. Entri sempre pensando che ci vorrà più o meno un’ora e poi puoi tornare in campo. Eravamo ragazzini, pieni di energia e salute.

Questa volta però, ho capito subito che c’era qualcosa di strano. Nelle ultime settimane mi stancavo molto facilmente. Mi bastava salire una rampa di scale per aver subito il fiatone. Era come se il mio corpo fosse invecchiato in una settimana.

Alla fine sono rimasto con i medici per tre ore. Mi dissero che avevo troppi battiti irregolari.

Tutti ce li abbiamo occasionalmente, ma non così spesso. I miei battiti erano irregolari 20 volte più del normale. Mi dissero che avevo una sorta di aritmia.

 Chiesi ai medici che potevo fare. Mi risposero che avrei dovuto smettere di giocare dai sei agli otto mesi e che dopo avremmo valutato.

Quindi niente corsa, niente allenamenti, niente calcio.

Niente Roma.

Sono sempre stato una persona ottimista, ma quel periodo è stato davvero difficile. Non potevo fare niente, tranne una cosa: ascoltare il mio cuore. Ogni sera cercavo di capire la frequenza dei miei battiti irregolari. Mi sedevo sul letto aspettando il silenzio assoluto, poi chiudevo gli occhi e contavo i battiti.

Tum… tum… tum…

Sono diventato dottore di me stesso. Mi facevo un checkup ogni giorno.

Ho passato quattro mesi aspettando, pregando e sperando che i battiti irregolari sparissero in qualche modo. Un giorno mi sono accorto che erano spariti. Così, all’improvviso. Non me lo aspettavo visto che i medici avevano detto che sarei dovuto stare a riposo almeno per altri due mesi. Ero impazzito?

Beh, credo di no, perché sapevo che adesso i miei battiti erano regolari. Lo potevo dire. Lo sapevo.

Il secondo giorno ascoltai ancora. Niente aritmia.

Il terzo giorno, ancora niente.

Adesso sarei potuto andare anche sulle stelle senza sentirmi come se avessi appena scalato l’Everest. Quindi al quarto giorno ho chiamato i miei. Volevo fare un altro controllo.

Siamo andati dai dottori e hanno detto: “Stai bene”.

[…]

Ora più che mai, sapevo cosa potesse essere una vita senza calcio.

Inoltre, giocavo per la Roma. Capite cosa significa? Capite quanto sia importante per un bambino cresciuto a Cinecittà? Non si trattava di lavoro, hobby o carriera. Per me giocare per la Roma era…tutto. Quando avevo cinque anni, andavo allo Stadio Olimpico con mio padre e discutevo con gli altri tifosi per farmi strada ogni volta che dovevo andare in bagno. Ho visto giocare Totti. Ho visto parte della stagione dello Scudetto con Capello.

Quando ho messo gli scarpini per la prima volta, sognavo di correre di fronte ai tifosi dell’Olimpico.

Poi un giorno, quando avevo otto anni, mio padre mi disse che la Roma aveva mandato degli osservatori a vedermi. Pensavo che scherzasse, ma dopo mi chiamarono per un provino. Per cinque mesi mi sono allenato con i Pulcini nonostante fossi un anno più piccolo di tutti. Visto che a Trigoria stavano rifacendo i campi, ci allenavamo alla Longarina. Per arrivare ci voleva un’ora, quindi mangiavo e mi cambiavo in macchina. Poi aprivo lo sportello e correvo in campo. Era l’ingresso più bello di sempre dopo quello dell’Olimpico.

Davo tutto me stesso ogni giorno.

E ogni giorno controllavo la posta sperando che arrivasse la lettera.

La Roma manda sempre delle lettere ai ragazzi per comunicare se sono stati presi o meno. Un giorno, a luglio, finalmente arrivò la mia. Mio padre mi disse di aprirla.

Conosceva il contenuto? Certo che sì…

Ma io no, e quando ho visto la lettera… è difficile da spiegare. Quello è il giorno in cui la mia vita è diventata un film di cui io ero il protagonista e tutti quei sogni folli sono diventati realtà.

Non avevo idea di cosa sarebbe successo da lì in avanti.

Appena indossi la maglia della Roma, rappresenti qualcosa che è più grande di te. Specialmente quando arrivi in prima squadra. Per me la strada per arrivarci è stata lenta e costante, perché le giovanili si allenano vicino ai grandi e quando un giocatore si infortuna, chiamano sempre qualche ragazzino. Qualche volta è toccato a me. Quindi lasciavo il campo della Primavera e facevo questo grande giro. Era “Il Percorso”.

[…]

Uno dei momenti di cui vado più fiero è stato durante la stagione di Champions2017/18. Avevamo capito di poter fare qualcosa di grande fin dall’inizio, perché abbiamo vinto un girone in cui c’erano Atletico MadridQarabag e Chelsea. Avevamo quella sensazione. Anche quando nei quarti di finale abbiamo perso 4-1 con il Barcellona, continuavamo a crederci.

Siamo onesti, non meritavamo di prendere quattro gol. Gli abbiamo regalato due autogol e anche gli altri due sono stati abbastanza fortunati. Ma quando Edin ha segnato quello che sembrava il gol della bandiera, abbiamo capito di essere ancora vivi.

4-0? Ci avrebbe ammazzato.

4-1? Continuiamo a combattere.

Non so cosa ci sia passato per la testa la settimana dopo, ma quando stavamo per giocare la gara di ritorno a Roma, sapevamo che saremmo passati. Lo sapevamo. Non sto esagerando. Sapevamo anche il risultato. Dicevamo tutti che avremmo vinto 3-0 e che saremmo passati per il gol in trasferta. Continuo a credere che eravamo pazzi a pensare una cosa così. Il Barça! Avevano ancora Messi. Erano fortissimi.

Ma ti giuro che quella mattina, con chiunque parlassi a tavola mentre eravamo a colazione ti avrebbe detto il risultato. Roma 3 – 0 Barça.

È impossibile da spiegare. Impossibile. Sembrava la giornata perfetta. C’era qualcosa nell’aria, una specie di magia romana. Ed era vero. Lo percepivamo tutti.

Tutti.

Beh… tutti tranne uno. Uno soltanto. Manolas!

[…]

Edin ha segnato dopo sei minuti e quando Daniele ha segnato il 2-0, l’Olimpico è impazzito. A quel punto sapevamo con certezza che saremmo passati. L’unica cosa che mi chiedevo è chi avrebbe segnato il terzo. Quindi chi spunta su calcio d’angolo a otto minuti dalla fine? Chi diventa l’eroe?

Manolas!!

Questo è più o meno tutto quello che mi ricordo della partita. Il resto è abbastanza offuscato. E qualsiasi cosa sia successa dopo anche di più.

Credo che questo abbia dimostrato che quando noi Romanisti siamo uniti, tutto è possibile.

L’unico momento che si avvicina a quello, l’ho vissuto la scorsa stagione. Eravamo a San Siro contro l’Inter e ho giocato la mia prima partita da capitano della Roma. Posso dire tranquillamente di non esser mai stato più orgoglioso. Stavo seguendo le orme di Francesco e Daniele, due leggende sia per la società che per la città. Ancora oggi, ogni volta che metto la fascia, salgo i gradini dell’Olimpico e sento il rumore dei nostri tifosi, mi chiedo se è vero.

Non so perché, ma ho come paura di svegliarmi all’improvviso.

In questo momento stiamo lavorando parecchio a creare una mentalità vincente, perché mister Mourinho ci dice sempre che deve essere una delle nostre maggiori qualità. Ovviamente, questo cambiamento non può accadere in un minuto, ma sono sicuro che siamo sulla strada giusta: serenità e senso di responsabilità sono due ingredienti chiave per la nostra crescita.

E so di giocare una parte importante in questo processo. Penso tanto a come giocava Francesco. Era il classico capitano che non aveva bisogno di parlare più di tanto, perché era il modo in cui giocava a parlare per lui. Non potrò mai paragonarmi a lui, ma mi piacerebbe provare a ripetere qualcosa di simile, cercando anche di spiegare a tutti cosa significhi la Roma.

Ogni giorno dico ai miei compagni cosa significa giocare per la Roma. Questa non è una fabbrica di talenti, questo non è un trampolino per andare in una squadra più grande. Perché non esiste una squadra più grande.

No. Questo è un punto d’arrivo.

Roma è… Roma.

VAI ALL’ARTICOLO ORIGINALE

Fonte: THE PLAYERS’ TRIBUNE

Top