E’ vero, Luis Enrique gode di una protezione che altri tecnici, soprattutto italiani, al suo posto non avrebbero. Ma non c’è niente di strano. Anzi. E’ perfettamente in linea con le scelte fatte dalla nuova dirigenza. E testimonia la coerenza della stessa a fronte di un cambiamento che non poteva non essere protetto. Ci si meraviglia che uno Stefano Pioli qualsiasi, a parità di punti e di prestazioni, sarebbe stato come minimo messo in discussione. Si fanno i confronti con Montella. Senza motivo. Magari a farli sono gli stessi che trattavano l’attuale tecnico del Catania come un burattino nelle mani dei senatori della Roma, che gli imponevano l’accantonamento di Julio Sergio a favore di Doni, l’esclusione di Totti, salvo poi fargli cambiare idea sul capitano e obbligarlo a concedergli spazio, a discapito di Borriello. Camaleontici mutamenti di pensiero. Pretesti. Per proseguire nell’opera di demolizione di Luis Enrique. Come la goccia cinese si insinua con costanza e pazienza certosina il dubbio. A volte artatamente ingenuo.
Perché tanta pazienza per l’asturiano? Ce ne sarebbe stata se gli stessi risultati li avesse ottenuti un italiano? Certo che no. Ma perché stupirsi? Quando si sceglie una strada che ti porterà verso una luce accecante, ma attraverso un percorso lungo e magari pieno di ostacoli, non ci si può fermare dopo pochi metri ‘perché in fondo è meglio la penombra. Chiaro che Luis Enrique non significhi vittorie certe a medio-lungo termine. Ma Luis Enrique è stato scelto dal Direttore generale. E siccome nel calcio le previsioni sono una delle più grandi incertezze, Luis Enrique va tutelato, difeso più di qualsiasi altro allenatore, semplicemente perché se non è dato sapere se la Roma entro il 2013 otterrà risultati positivi, è cosa certa che se li ottenesse, lo farebbe con Luis Enrique in panchina. Difenderlo più di un Pioli qualsiasi, non è un atto d’amore per la discontinuità progettuale. Ma un dovere.
Fonte: Trs (A. Ciardi)